Finalmente disponiamo di una proposta di riforma della nostra offerta portuale, forse poteva essere varata prima ma è inutile fare polemiche Aspettavamo questa riforma dal lontano 1994 (cioè 31 anni fa, anno in cui fu approvata la Legge 84) e quindi va riconosciuto al viceministro Edoardo Rixi di aver mantenuto una promessa che diventa riferimento per una reinvenzione organica della nostra portualità.

Wassily Leontief, premio Nobel per l’economia e uno dei redattori del Piano Generale dei Trasporti del nostro Paese nonché sostenitore della teoria input – output, ripeteva sempre che l’intero sistema produttivo rimarrebbe pura potenzialità economica ma una inutile ricchezza se non potesse accedere ai mercati. Le tecniche e le modalità che consentono tale processo sono la logistica che ha dato vita alla supply chain e a quel processo che segue in modo capillare l’intero percorso dal produttore al consumatore. L’efficienza della nostra offerta portuale ed interportuale fa infatti crescere il nostro PIL per oltre il 25%.

L’articolo 5 ter in particolare rappresenta uno dei passaggi più innovativi perché dispone la costituzione della società Porti d’Italia S.p.A che ha come oggetto sociale “lo sviluppo e la promozione della Rete italiana della portualità” attraverso “lo svolgimento di investimenti strategici, di opere infrastrutturali attinenti alle attività marittime e portuali” e lo stesso articolo precisa che “il Ministero dell’economia e delle finanze è autorizzato a rafforzare la dotazione patrimoniale della società con un apporto complessivo di 500 milioni di euro”. Nel Disegno di Legge si precisa inoltre che la Porti d’Italia Spa “provvede a realizzare il progressivo miglioramento e lo sviluppo della Rete italiana della portualità, nell’ottica della piena integrazione della medesima nella rete transeuropea dei trasporti (TEN-T)”.

Nella bozza di riforma è poi inserita, come aveva preannunciato Rixi, la possibilità di riduzione delle “port authority”, ma su questo aspetto vanno sollevate due osservazioni. La prima è legata alla assenza di interazioni tra l’ambito portuale e quello interportuale, alla assenza cioè di provvedimenti che ridisegnino, in modo completamente nuovo, il rapporto tra porto ed interporto. Invece Porto ed Interporto sono il binomio che caratterizza ciò che chiamiamo logistica, sono il motore di quel processo che consente a una potenzialità produttiva di diventare ricchezza. La seconda osservazione è più sostanziale: è necessario credere nell’autonomia finanziaria e gestionale della singola Autorità di Sistema Portuale, un Autorità legata solo ad un codice comportamentale disegnato sì da un organismo centrale ma completamente autonoma, ed è necessario privilegiare la costituzione di una Società per Azioni in grado di costruire alleanze con altre realtà portuali ed interportuali nazionali ed internazionali.

La scelta fatta diventa al contrario antitetica a processi di rilancio gestionale avanzati dai gestori delle singole Autorità e condiziona o priva di quella utilissima azione di confronto tra distinte realtà e incrina possibili forme di sana concorrenza. Questo è solo l’inizio del dibattito e dopo 31 anni di completa sottovalutazione dei cambiamenti della nostra offerta portuale ed interportuale e della obbligata urgenza di rivedere i relativi strumenti normativi, si aprirà un interessante confronto.