L’Italia è liquida da tempo e le leggi della politica non stanno allo sciabordio idraulico. La lezione umbra? Tutto previsto, inciso sul titanio, ma impossibile creare argini contro la furia degli dèi. Si possono, al più, fare foto di famiglia e dichiarazioni inutili di cui la più montessoriana, nel senso di età evolutiva infantile, resta quella del bravo Di Maio che decide di non voler più uscire la sera con nessuno, né di destra né di sinistra, meglio da soli. Ma soli con chi, se siamo davvero soli e nessuno vuole davvero giocare più con noi? I suoi gruppi parlamentari sono insidiati e assediati dai talent scout della Lega che sussurrano “Passa con noi e vedrai anche la Befana”. I tacchini non vedono, come si sa, di buon occhio il Thanksgiving col ripieno di castagne ma neanche adorano il pranzo di Natale e meno che mai né, vade retro, le elezioni. La legge della sopravvivenza del parlamentare nel suo habitat di sotto-scoglio è questione esistenziale e viene prima della politica.

Che fare e chi sa dare le carte? Ma più che altro, a che gioco giochiamo? A rubamazzo (Salvini sfila i fuggiaschi pentastellati dalle arnie di Rousseau)? O a bridge: gioco degli incroci sapienti, come vorrebbe Zingaretti per il quale tutto sommato le elezioni anticipate – vecchia storia – costituirebbero la messa in sicurezza di quel che resta dopo le batoste altrui e la fuga di Renzi, il suo modo per tornare a square zero e ripartire da capo. Ma Renzi, invece, ha bisogno di tempo e temperatura da serra mentre tessere un robusto ordito di governo, se vuole far vagire viva la sua “Italia Viva” fuori dall’incubatrice, benché dicono che alla Leopolda le folle premessero sulle cancellate come neanche la populace a Versailles.

Renzi aveva visto e previsto con poche varianti quello che resta il suo obiettivo: riprendersi il Grande Ceto Medio che aveva già sullo scaffale ma che non aveva saputo trattenere per i noti errori, un po’ tattici (l’abbaglio del referendum) e un po’ psicologici: troppo personalismo, io, io e poi ancora io, che avevano fatto saltare il nervo della sinistra sinistrese toccata dalla sensazione – assolutamente realistica – che Renzi fosse il Berlusconi di sinistra, quel che la sinistra aveva sempre invidiato ai berlusconiani senza poterlo dire forte; e finalmente ce l’aveva ma se ne vergognava. Ma Renzi era arrivato già a questa casella cercando di liquidare la sinistra comunista con il trattamento che Stalin aveva riservato ai kulaki, marchiati come esseri inutili da far morire di inedia. Nessuno però è disposto a farsi ammazzare per inedia e così alla fine è andato sotto lui, al bando e negletto, costretto ad accamparsi davanti al castello di Canossa con poche amiche fidate in attesa che gli riaprissero le porte. Finalmente, Salvini si è legato le scarpe col laccio sbagliato, ed è caduto di naso mentre già si stavano vendendo il suo zainetto in Europa e ciò ha permesso a Renzi di fare l’uno-due con faccia perfetta da poker: vado per prima cosa al governo con i miei ministri, e poi marameo vi saluto e mi faccio il mio partito. Non si era mai visto al mondo un partito, per di più di rigorose origini comuniste, con i suoi segretari generali dediti alla scissione come neanche le amebe che entrano ed escono dalle porte girevoli come al Grand Hotel: Bersani, D’Alema e ora Renzi, gente che va, gente che viene.

Intanto però la divina preda – chiamatelo ceto medio, Italia liberale, i moderati, la maggioranza silenziosa ma urlante, i disertori del voto, il popolo delle partite Iva ma anche senza altra partita che quella della lira che gira – subisce mutazioni. Berlusconi gli/le andava bene come andava bene la Democrazia Cristiana. Quella maggioranza nelle condizioni ottimali poi svanite si sarebbe presa/o ai suoi tempi Mariotto Segni che fu il segno dei tempi cui però Martinazzoli disse di no e Silvio fece il colpo della doppia maggioranza a Sud e a Nord con la stessa tecnica con cui aveva fatto girare le videocassette col primo e il secondo tempo dei film da trasmettere prendendo per i fondelli i magistrati proibizionisti. E così il ceto medio divenne meno silenzioso, più esigenze e molto meno troglodita d’un tempo. Ormai parlava inglese, mandava i figli all’Erasmus, frequentava Londra e New York e aveva preso un po’ quell’arietta lì, per cui Matteo Renzi si esprimeva per Jobs Act perché faceva fico, cosa che Andreotti non avrebbe nemmeno capito. Intanto la liquidità dell’acqua e non della ricchezza aumentava, il Veneto bianco era Verde ma non più l’Emilia resisteva a rimanere rossa, come del resto abbiamo visto l’Umbria e poi tutto il sistema Unipol Cooperative, mutui in famiglia, una polizza, un partito, una famiglia, requiem per un sistema che non aveva nulla di ideologico ma in cui gli autobus arrivavano in orario, non meno dei famosi treni del duce, non parliamo poi degli asili nido er i servizi sociali.

Quindi, la catastrofe: non solo l’Italia è diventata politicamente liquida ma anche il mare, non più nostrum, è diventato sia liquido che irsuto e dolente e tragico per quanta Africa imbarca staccando ticket da mille e seicento euro per posto e giubbotto, con cui essere lasciati in mezzo al mar, là dove c’è sempre un camin che fumano, ovvero le Ong che fanno la grande parata dolente dei porti chiusi sinché alla fine si va tutti a teatro con un certo numero di esseri umani affogati per rito tribale, ma quello era il prezzo con tutte le scene ipocrite del caso.

Lì il Partito che fu di Renzi crolla, crolla anche in versione Gentiloni finché non arriva Marco Minniti che ci capisce, è intellettuale, è calabro e un ex D’Alema boy di poche parole, ma capisce tutto e sa regolare i flussi senza fare casini. Troppo tardi, il ceto medio ha avuto paura: nel corridoio non c’è più la mucca di Bersani ma l’africano irato e impaurito che non sai dove contenerlo e nutrirlo, salvo pompare soldi nelle tasche degli acquirenti di schiavi da stipare in baracche, capanne, buche, e cantine e cantieri abbandonati, attirandone altri e altri in una teoria e in una moria senza sbocco oltre l’odio e la fossa comune. E Renzi, lì fuori si lecca le ferite e studia, mentre Salvini si prende il bello di Minniti e fa sceneggiate in diretta iPhone davanti ai porti anche se poi gli scappano tutti i clandestini di mano. Ma comunque la cosa piace, tiene dritta l’audience che neanche il Viagra e tutti sono felici che ci sia un Hombre Vertical, l’uomo forte, il babau, quello che non gliele manda a dire e non ha peli sulla lingua, insomma il Salvini descamisado, da spiaggia, da mojito che tintinna madonnine, crocefissi, rosari, presepi e identità cristiana anche e specialmente quando non sarebbe il caso, e che però proprio per questo tiè, tiè e tiè. A questo punto, il film si accartoccia, i fotogrammi prendono fuoco come nei vecchi proiettori e tutto si ferma, tranne che il tempo.

Il Pentastellato, ormai figura viandante di pianura e monti, si è sverginato, è andato a letto con tutti, a destra e a sinistra, ha fatto compromessi, l’ha data a bere, l’ha bevuta, ha avuto diarrea e stipsi, poveretto ha un colorito itterico, Di Maio si fa rasare le tempie sfidando la messa a nudo delle ossa temporali e non sa più – veramente non ha la più pallida idea – che c osa fare, con chi copulare, con chi prendere un caffè, è una maledizione.

In breve? Cinque stelle: requiescant. Come diceva la vecchia canzone, “è solo questione di tempo”. I tassisti che votarono Raggi, vomitano. I sociologi cambiano strada al sol vedere una carta siderale a cinque punte., L’idea? Non c’è. Prosopopea? Un alito intestinale finito in fetore. Que reste-t-il de tout céla, dites-le moi? Resta un viso contratto del piccolo capo assediato, restano nella notte i canti notturni del Dibba a caccia di capinere, resta con la sua verve da aspirapolvere turbo Grillo coi guai di famiglia, ma è tutto morto su quel continente che prometteva una nuova era. Ed ecco che dal mondo liquido emergono le piccole isole rocciose. Il renzismo che ha bisogno di tempo per non morire in culla, una destra che deve ancora decidere se vuole affrontare da sola anche ciò che non sa fare, ad esempio governare oltre la questione immigrazione, e un giornalismo attonito e svagato che tenta come può di dare una qualche forma di ordine. È presto, ma già si sa che cosa accadrà con l’Emilia. E con il resto. È già tardi, e Mattarella non può sognarsi di riutilizzare la vecchia paella di cozze e riso stantio per mettere le righe di qualche altra maggioranza di cucina mediterranea. Adesso si devono chetare le chiacchiere del pollaio, occorre una buona pioggia per pulire il cortile, ma i pezzi rimasti solidi sono pochi e la sceneggiatura va riscritta da capo. Le stelle sono cadute, non ne è rimasta che polvere e materiale di scena. Zingaretti d’altra parte ha soltanto scorza, ma non pelle politica e davvero la sinistra di sinistra chiede un ricovero per affezioni croniche, meglio un museo.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.