Rosa Luxemburg è stata, per la storia, una rivoluzionaria. Una tra i più grandi fra i giganti del ‘900 che, del resto, ne riconoscono la grandezza. Lenin, il protagonista principe dell’ottobre, la riconosce come un’aquila, l’aquila della rivoluzione. Ma persino Bernstein, contro il quale la Luxemburg scrive i saggi più radicalmente critici, quelli poi raccolti nel volume Riforma sociale o rivoluzione? che ne costituisce l’antitesi, persino Bernstein riconosce che gli scritti della Luxemburg «appartengono a quanto di meglio è stato scritto su di me». La teorica della rivoluzione è dunque così rilevante che il valore della sua elaborazione viene riconosciuto anche dai suoi avversari. Il vecchio Franz Mehring, un’autorità nel movimento operaio tedesco che si dice morto di crepacuore per l’uccisione di tutti i suoi più giovani compagni spartachisti a lui vicini, ha scritto di lei che è stata «il cervello più geniale fra gli eredi scientifici di Marx e Engels». Qualche anno più tardi sarà Lukàcs a scrivere di lei che è stata la sola discepola di Marx «che abbia prolungato realmente l’opera della sua vita».

L’influenza della Luxemburg nel pensiero rivoluzionario
Non so se si può parlare per la Luxemburg della costruzione di un sistema organico di pensiero, certo si può farlo indicando la sua straordinaria capacità di dar vita a un pensiero critico. Forse per questo, diversamente da altri leaders rivoluzionari come Lenin o Trotsky, che hanno prodotto una filiazione diretta di organizzazione e di quadri, cioè una nuova ortodossia (il marxismo-leninismo è un’ideologia che segna di sé l’intera storia del movimento operaio del ‘900), Rosa Luxemburg suscita adesioni orizzontali piuttosto che verticali, piuttosto che nell’insieme sono alcuni elementi della sua elaborazione che vengono raccolti da realtà politiche e sociali diverse e tra loro diverse. Si troveranno nella storia elementi, scampoli, idee presenti nel suo pensiero in parecchie realtà e personalità del movimento operaio, ma non una tendenza organizzata, non una scuola.

Non casualmente essi si ritrovano, seppure sempre come tali, in alcune tendenze che si potrebbero riassumere nella definizione di marxismi critici o in determinati periodi del conflitto di classe, quando questo si impenna e produce una rottura. È accaduto così nel biennio rosso ‘68- ‘69, quando il protagonismo delle masse ha dato al conflitto di classe una potenza eccezionale, quando il processo si è potuto pensare come rivoluzionario, quando si è potuto parlare dell’attualità del socialismo. Allora alcuni temi tipici del pensiero luxemburghiano sono diventati di tutto il movimento e di alcune sue componenti importanti in particolare. Il tema della rottura, la democrazia consigliare, l’insostituibile ruolo delle masse, il carattere del tutto decisivo del loro protagonismo ne hanno caratterizzato il tempo. Nello scritto Sciopero generale. Partito e sindacato, la Luxemburg aveva attribuito allo sciopero generale un carattere strategico, quello di levatrice di un processo storico. Pur con una del tutto diversa interpretazione, lo sciopero generale acquisterà nella fase della riscossa studentesca e operaia degli anni 70 del secolo scorso, una funzione cruciale.

I tre possibili errori dei partiti del movimento operaio
Individuato precisamente il primato delle masse e, in esso, il ruolo del partito, la Luxemburg vede lucidamente e, in un certo senso, prevede i danni che deriverebbero da tre diverse pericolose propensioni che in esso si possono determinare: il parlamentarismo, il burocratismo e l’autoritarismo. Nella lettura ottimistica dei processi storici nei quali scompaiono le drammatiche contraddizioni del capitalismo, in una lettura apologetica quindi, vede le basi dell’elettoralismo e del parlamentarismo, due errori devastanti che si possono sempre produrre dentro le organizzazioni politiche del movimento operaio e che lo condannerebbero alla resa e al fallimento. È questa una critica radicale e fondativa del suo pensiero che si sviluppa contro questa insidia fin dalla critica a Bernstein e, nella socialdemocrazia tedesca, alla separazione tra il programma massimo e il programma minimo, separazione che rende il primo, la costruzione del socialismo, confinato in un futuro tanto lontano da uscire dalla scena della politica e costringe il secondo, il programma minimo, ad essere estraneo all’interesse della classe operaia ad un’alternativa di società. Ma non è meno significativa, sull’altro versante, la lotta contro l’assunzione, da parte del partito del principio di autorità.

Nasce da qui la critica ai bolscevichi e a Lenin. Ad essi la Luxemburg dà atto di un grande coraggio e di aver saputo affrontare la crisi con la realizzazione della rivoluzione, ingaggiando così una sfida immensa. Ma proprio con questa realtà essi hanno di fatto dato vita alla questione del rapporto tra democrazia e socialismo a cui non ci si può più sottratte. La democrazia socialista si costruisce contemporaneamente alla demolizione del dominio di classe e alla costruzione del socialismo. Per lei, la pratica socialista richiede una «trasformazione spirituale» del popolo che, a sua volta, richiede la più ampia e incondizionata libertà di stampa, di riunione e di associazione. La libertà per lei è quella di chi la pensa diversamente, non solo quella dei seguaci del governo e dei membri del partito.

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Politico e sindacalista italiano è stato Presidente della Camera dei Deputati dal 2006 al 2008. Segretario del Partito della Rifondazione Comunista è stato deputato della Repubblica Italiana per quattro legislature ed eurodeputato per due.