La lunga battaglia dei genitori per il diritto di smettere di soffrire
Samantha D’Incà in coma per 15 mesi dopo un incidente, il dolore della mamma: “Ha smesso di soffrire”
“Volevamo lasciarla andare come avrebbe chiesto lei stessa, se solo avesse potuto parlare. Perché di una cosa siamo certi: preferiva morire piuttosto che rimanere in quello stato”. Genzianella Dal Zot, mamma di Samantha D’Incà non ha dubbi: quella che da 15 mesi stava vivendo sua figlia in coma vegetativo non era la vita che avrebbe accettato di vivere. E con grande dolore la sua famiglia l’ha lasciata andare. Si è spenta sabato mattina.
Il 28 marzo Samantha, giovane di Feltre, avrebbe compiuto 31 anni. Era in stato vegetativo dal 4 dicembre 2020. Aveva riportato una frattura al femore in seguito ad una caduta, ed era stata operata. Dopo l’intervento la gamba continuava ad essere gonfia. Erano i segnali di una polmonite batterica. Da lì è iniziato un calvario che la portò allo stato di coma vegetativo, cessato nella mattinata di sabato nella Rsa di Belluno, dov’era stata portata dopo l’ultima visita a Vipiteno, che aveva escluso qualsiasi possibilità di miglioramento.
“Le tenevo la mano – racconta al Corriere della Sera mamma Genzianella – Saranno state le 7.30 di sabato, ho visto che non respirava più. Ho guardato mio marito Giorgio e lui ha fatto un cenno col capo. Poi si è rivolto direttamente a Samantha: ‘Sei una bischera, le ha detto, hai preso la tua libertà nel giorno della festa del papà”. È stata dura. Ma almeno lei ha smesso di soffrire”.
Per Samantha e la sua famiglia è stato un vero calvario, una battaglia durata 470 giorni, da quando Samantha era piombata in un uno stato vegetativo irreversibile. Leopold Saltuari, lo stesso medico che aveva preso in cura Michael Schumacher, disse che il suo stato di coscienza era “al livello di un bambino di 1-2 mesi”. No quella per Samantha non era vita, stesa nel suo letto, immobile, nutrita con un sondino e in preda agli spasmi muscolari.
Samantha non aveva mai lasciato nulla di scritto in merito. A 30 anni non si pensa a queste cose. Ma la famiglia non ha mai avuto dubbi sul fatto che la loro figlia avrebbe voluto che staccassero la spina. E così è iniziata una battaglia strenua per riuscire ad accontentarla. A novembre il giudice del tribunale di Belluno ha nominato il padre di Samantha, Giorgio, amministratore di sostegno con facoltà di prestare per conto della figlia il consenso informato all’eventuale interruzione delle terapie che la tenevano in vita, ma solo “nell’ipotesi di un severo aggravamento”. È ciò che è accaduto, sabato Samantha si è spenta.
“Da settimane le condizioni di Samantha stavano peggiorando – continua la mamma – vedevo la sofferenza sul suo volto. Siamo tornati a insistere per l’avvio del percorso per il fine vita ma c’era chi, tra i medici, faceva ancora resistenza. Così nella sua stanza abbiamo appeso una maglietta con su scritto: ‘Non ho parole’ e un biglietto in cui spiegavamo che quella sarebbe la frase che nostra figlia avrebbe gridato in faccia a chi, pur avendo la possibilità di alleviarne le sofferenze, rimaneva immobile”.
Samantha continuava a peggiorare. Così il lunedì si è deciso di sospendere l’alimentazione forzata, lasciando solo l’idratazione. Giovedì si è deciso per la sedazione profonda in modo da scongiurare il pericolo che potesse soffrire. “A quel punto, mia figlia si è spenta in meno di due giorni. E ora è libera”, ha detto ancora la mamma.
La battaglia è finita ma i D’Incà non hanno intenzione di mollare e vogliono portare avanti la lotta della loro figlia per tutti quelli che vivono una situazione come quella di Samantha. “Intanto chiederemo di verificare le responsabilità di chi non ha capito cosa le stava accadendo: nostra figlia poteva essere salvata. Per il resto, io e mio marito vogliamo che la sua morte non sia vana. Ci sono migliaia di persone in Italia ridotte come Samantha: saremo la loro voce, testimoniando l’importanza di fare testamento biologico e l’urgenza di una legge che dia a tutti la possibilità di morire dignitosamente”
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