Dopo Papa Bergoglio da Fazio, non poteva mancare Giuliano Amato da Floris. Non c’è più religione, si potrebbe dire. Occupiamoci della religione laica e il Presidente della Corte Costituzionale si è richiamato al Vangelo della democrazia come centro della convivenza. Non è la sede per commentare le suggestioni espresse sulla pace e sulla guerra, sul ruolo e sulla crisi delle democrazie occidentali, sulla pandemia, sulla scienza e sulla violenza diffusa. Mi limito a commentare le questioni relative ai referendum e alle decisioni sulla ammissibilità.

Rispetto alle polemiche suscitate dalla conferenza stampa subito dopo la lunga Camera di consiglio concentrata soprattutto sulla bocciatura dei due referendum su cui sono state raccolte tante firme che testimoniavano l’interesse e l’urgenza dei temi legati alla vita delle persone, Amato ha argomentato che è tempo che l’Italia si abitui alla novità che è utile che le sentenze della Consulta vengano spiegate per essere poi oggetto di condivisione o di critica. Floris ha però sottolineato che i cittadini si sentono frustrati per essere espropriati dell’esercizio della sovranità popolare e della decisione su temi che il Parlamento trascura da troppo tempo. Amato ha aggiunto che i limiti ai quesiti sono definiti dall’art. 75 della Costituzione e che occorrerà leggere le sentenze, evitando polemiche preventive che non servono. Sarà davvero ineludibile una discussione sulle novità che la Corte negli ultimi anni si è data.

Per quanto riguarda l’ammissibilità dei referendum è invece da molto tempo che sono state abbattute le norme precise fissate dalla Carta relative alle leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Infatti è invalso il giudizio sulla omogeneità e chiarezza dei quesiti, con un atteggiamento paternalistico verso i cittadini incapaci di capire la domanda, e cosa ancora più grave una valutazione della legge risultante dal referendum con un arbitrario giudizio preventivo di legittimità costituzionale. Risibile poi il riferimento al rispetto di Convenzioni e trattati internazionali che non sono coperti dall’art. 75 che si riferisce a una legge, quella di autorizzazione alla ratifica, che ha cessato i suoi effetti. Torniamo alla conferenza stampa, che non rappresentava l’illustrazione di una sentenza e delle motivazioni, ma una anticipazione che spiegava la decisione.

Una prevalenza delle ragioni politiche rispetto a quelle giuridiche. Il titolo del referendum sulle sostanze stupefacenti come deciso dalla Cassazione e condiviso dal Comitato promotore non dava adito a ambiguità, prevedendo tre interventi puntuali, infatti eliminava dall’elenco incredibile di diciassette condotte incriminatrici la coltivazione, cancellava la pena della detenzione, conservando la sanzione penale della multa, per le violazioni relative alle cosiddette droghe leggere, cannabis in particolare e l’eliminazione dalle sanzioni amministrative del ritiro della patente per i soggetti individuati e colpiti per il semplice consumo. Va sottolineato che dal 1990 oltre 1.300.000 giovani sono stati segnalati ai prefetti (quella figura che Garibaldi, Einaudi e Ernesto Rossi volevano abolire) per essere stigmatizzati e sottoposti a varie sanzioni amministrative (la più odiosa quella che abrogavamo) e di questi un milione per aver fumato uno spinello.

Il Dpr 309/90, la legge voluta da Bettino Craxi al termine di una campagna dai toni moralistici in nome della guerra alla droga e che cancellò i valori laici e libertari della tradizione socialista di Loris Fortuna, ha provocato in più di trent’anni gravi guasti nei tribunali intasandoli di cause e reati senza vittime e ha determinato il sovraffollamento nelle carceri che per il 30% ospitano detenuti per violazione della legge antidroga, quasi sempre per detenzione e piccolo spaccio. Non mi risulta che Amato si oppose a questa torsione proibizionista e invece è agli atti la sua polemica contro Umberto Veronesi, ministro della Sanità che alla Conferenza sulle droghe a Genova nel 2000 si espresse a favore della legalizzazione della canapa e delle droghe leggere. Quella legge è ignobile e nel 1993 un referendum riuscì a cancellare le norme più ideologiche e repressive, ma il Parlamento si guardò bene da operare una riforma complessiva. Addirittura nel 2006 fu approvato un decreto arbitrario, noto come Fini-Giovanardi, che aggravava la scelta repressiva e che fu cancellato solo nel 2014 dalla Corte Costituzionale.

Bene, la legge è anche scritta male. Le diciassette condotte elencate nel primo comma dell’art. 73 riguardano tutte le tabelle delle sostanze stupefacenti (la Fini-Giovanardi sulla base dell’assioma che “la droga è droga” aveva accorpato tutte le sostanze in una unica tabella con la detenzione da otto a venti anni) e non, come ha sostenuto il prof. Amato solo le tabelle I e III. Solo che la pena per le droghe pesanti è scritta nel primo comma, mentre la pena per le tabelle II e IV, da due a sei anni di carcere, è prevista nel comma 4, richiamando le condotto dei commi 1,2 e 3. Un errore incredibile e imperdonabile. Eppure nella memoria che illustrava il quesito, tutto era spiegato con limpidità e senza sotterfugi.

Sconcerta che molti giornalisti, soggiogati dalla autorevolezza del Presidente Amato, si siano inchinati e abbiano accreditato il falso, cioè che fosse stato il Comitato promotore a compiere un errore. Io mi occupo di politica delle droghe e di leggi relative dal 1975 e sono pronto a un confronto aperto con Giuliano Amato che era Presidente del Consiglio quando io ero sottosegretario alla Giustizia, nel nome di Giancarlo Arnao, protagonista radicale della battaglia antiproibizionista. Credo che nella sentenza non sarà scritto il punto che è però stato alla base della inammissibilità proclamata con sicumera nella conferenza stampa. Valuteremo che fare e come ristabilire verità e diritto. Non ci arrendiamo alle ragioni della forza e del potere. Sarebbe ora che il Parlamento rispondesse alle tante supplenze, con una iniziativa adeguata ai tempi. Molti paesi, dall’Uruguay al Canada, ai tanti Stati degli Usa hanno legalizzato la canapa e in Italia continuiamo a combattere una guerra perduta, fortunatamente.