Scrivo al Pd, ma mi rivolgo a tutti i settori della sinistra. Quelli eredi del vecchio Pci, soprattutto, ma anche i figli della sinistra democristiana, e i laici, e i nuovi arrivati. Italia Viva, Leu, le altre formazioni della sinistra radicale, Calenda e – forse – persino qualche piccolo angolino saggio dei 5 Stelle. Scrivo al Pd perché tutti noi sappiamo benissimo che il nucleo vero attorno al quale può riaggregarsi la sinistra, e tornare protagonista della battaglia politica, è sempre e solo il Pd. Gli altri contano, certo. Possono anche pesare molto. Sia in termini di voti in Parlamento, sia, soprattutto, nell’elaborazione del pensiero e nella definizione delle idee. Ma senza il Pd, senza la vecchia quercia (e non ho scelto a caso il nome della pianta…) sono una cosa piccola, non hanno sbocco.

Giustizia. Di questo voglio parlare al Pd. I referendum, se presi solo alla lettera, non valgono moltissimo. Il più importante, quello che avrebbe trasformato i magistrati in cittadini, togliendo loro la corazza dell’impunibilità – anacronistica, castale – è stato tagliato via dalla Consulta, e nessuno mi convincerà mai che il motivo di questa decisione non vada cercato in un vincolo di sottomissione verso il partito delle Procure. Gli altri referendum toccano temi di grandissimo rilievo, come la carcerazione preventiva e la separazione delle carriere, che sono questioni decisive nel definire l’assetto di potere della magistratura e nel limitare la soverchiante prevalenza di questo potere sugli altri poteri democratici. Ma, appunto, toccano questi temi, ma non possono incidere a fondo. Se, come spero e immagino, vinceranno i Sì, ci saranno dei piccoli miglioramenti nella macchina della giustizia, ma non certo una rivoluzione.

Quello che tutti speriamo è che questi piccoli cambiamenti possano essere una bandiera attorno alla quale riunire finalmente un fronte liberale e democratico che riesca, dopo quasi mezzo secolo, ad affrontare e forse sconfiggere il potentissimo esercito giustizialista. La domanda che mi viene ora, è molto semplice: dentro questo fronte ci sarà anche la sinistra? Lo chiedo per due ragioni. La prima è che c’è bisogno che la sinistra si schieri col fronte liberale e garantista per vincere la battaglia. Sennò si perde. La seconda, che a me non sembra meno importante, è che sono convinto che la sinistra da quasi mezzo secolo abbia scelto la subalternità alla magistratura, e che in questo modo abbia perduto la sua indipendenza, cioè l’autonomia che è la precondizione indispensabile per fare politica. Non si può fare politica se si è subalterni a una forza esterna. Non si può senza autonomia. La sinistra da molto tempo ha perduto la sua autonomia e credo che sia questa la ragione fondamentale della sua caduta verticale e della sua incapacità di essere protagonista.

In questi decenni alla sinistra è capitato di vincere delle elezioni e anche di andare al governo. Non è mai riuscita però ad esprimere una linea, una strategia, a mostrare una identità, a proporsi e farsi riconoscere per un progetto, a guidare lotte, conflitti, scontri, non per guadagnare consensi ma più ambiziosamente per guidare il rinnovamento della società e dello Stato. Perché? Sicuramente sono molti i fattori che hanno influito sulla sua crisi. A partire dalla caduta del comunismo, che è stata un trauma e che ha fatto mancare improvvisamente il pilastro dell’ideologia. Però sarebbe davvero superficiale sottovalutare l’elemento della subalternità alla magistratura. Una parte della sinistra, all’inizio degli anni novanta, ha creduto, in ottima fede, di potere semplicemente fare questa operazione di sostituzione: via l’ideologia e dentro il legalitarismo. Via l’Urss e dentro la magistratura.

Il legalitarismo e la magistratura avevano tutte le caratteristiche per servire allo scopo: una presunta idealità (fatta di etica e di aspirazione allo stato etico), e una grandissima potenza di fuoco, fornita dalla possibilità di colpire anche fisicamente gli avversari: con gli arresti, le segregazione, gli scandali lo sputtanamento. E così l’alleanza si è rafforzata fino quasi a fondere sinistra e un pezzo di magistratura. Col risultato di privare il paese della sinistra e di aprire le porte alla repubblica giudiziaria, dove la democrazia resiste ma lo stato di diritto no. Ho scritto “l’alleanza si è rafforzata”, perché in realtà l’alleanza tra sinistra e magistratura era nata almeno 15 anni prima. Metà anni settanta. In quel periodo cresceva un movimento sovversivo alla sinistra del Pci, che raccoglieva forze e consensi straordinari tra i giovani. E iniziava ad affacciarsi la minaccia della lotta armata.

Allora il Pci consegnò le chiavi alla magistratura e le disse: “Occupati tu di sterminare quello che c’è alla nostra sinistra e in cambio avrai il nostro pieno sostegno politico”. Nasce così la questione morale e nasce così il giustizialismo. la lotta allo sfruttamento viene sostituita dalla lotta alla corruzione. Lo scontro con lo Stato viene sostituito dalla statolatria. Il mito dell’armata rossa dal mito della toga rossa. E vengono varate leggi speciali, tutt’altro che liberali, si sostengono politiche repressive, prigioni, controlli, continui stati di emergenza (che ancora non sono finiti). Poi c’è il salto definitivo durante i giorni del sequestro Moro. Questa svolta a destra è appoggiata anche da un numero crescente di grandi intellettuali. Escluso forse il solo Sciascia gli altri si schierano con il pugno duro e il sospetto.

Pensate a quel genio di Pasolini, gigante del pensiero del cinema e della poesia, e anche della sovversione, che scrisse il più feroce manifesto giustizialista della storia d’Italia: “Io so ma non ho le prove…”. Contro la Democrazia cristiana. O, forse, contro la democrazia. Quando arrivò mani pulite l’asse Pci-Pm era già saldissimo. Anche per questo motivo il Pds fu salvato dalla carneficina. E da quel momento non si è sentito più un alito, a sinistra, di critica al potere giudiziario. Ecco, oggi c’è la grande occasione. Passa l’ultimo treno. Si chiama referendum. Se la sinistra lo prende, torna autonoma e riscopre la politica. Altrimenti costringe questo paese ad altri trent’anni di destra.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.