La Corte costituzionale ha compiuto scelte molto timorose. Il partito dei Pm, del resto, si sa, fa paura un po’ a tutti. E nei giorni scorsi, dalle colonne del suo quotidiano, aveva fatto squillare le trombe e aveva lanciato i suoi avvertimenti. Non ci piegherete facilmente – aveva detto – siamo in trincea e dalla trincea resisteremo fino alla morte ad ogni tentazione garantista. La Corte ha preso atto. In questi casi si dice: “Non ci faremo intimidire”. E sembrava aver pronunciato proprio questa frase il Presidente Giuliano Amato, quando aveva sostenuto che la Corte non deve cercare il pelo nell’uovo. Poi quando ha visto la potenza di fuoco dei Pm ha cambiato idea. Ha cercato e trovato il pelo nell’uovo. Chi conosce il Presidente Amato lo ha sempre detto: ha enormi doti ma fra queste non c’è mai stato il coraggio.

Tutto si può dire delle sentenze emesse dalla Corte ma non che siano state sentenze coraggiose. Sull’eutanasia la Corte ha reso omaggio alla Chiesa, sulla cannabis ha reso omaggio ai proibizionisti e ai reazionari, sulla responsabilità civile dei magistrati – che il referendum avrebbe ridotto allo stato laico, cioè allo steso livello dei medici, degli architetti, degli ingegneri, dei giornalisti – ha alzato bandiera bianca. Decidendo che il magistrato è e resta una persona sacra, comunque intoccabile, imparagonabile ai comuni cittadini, e che può impunemente – per dolo o colpa grave o inettitudine – rovinarti la vita, le finanze, la vecchiaia, la famiglia, senza doverne rendere conto a nessuno. La Corte ha detto che questo privilegio è un suo diritto. Fa parte della sua superiorità. La casta è casta è non è che noi umili dalit possiamo impicciarci dei diritti e delle agiatezze della classe dei bramini. Tuttavia la Corte costituzionale, sebbene dentro tutte queste accortezze e dopo aver fatto, come è giusto, gli inchini di rito -ai magistrati, alla Chiesa e ai reazionari – ha lasciato il via libera a cinque referendum sulla giustizia. E questa è la grande novità.

È una novità che apre prospettive inedite alla battaglia politica. Anche a prescindere dal merito dei referendum. Perché i referendum ormai si infrangono spesso dietro barriere che non permettono loro di diventare una vera e propria accetta. Come era un tempo. Penso al referendum contro il divorzio, o a quello contro l’aborto, tutti e due perduti dai promotori e che servirono a riaffermare una legge e un principio. O ai referendum elettorali che cambiarono in modo drastico il modo nel quale veniva eletto il Parlamento. O gli stessi referendum sulla giustizia, negli anni Ottanta, che avrebbero cambiato diverse cose del nostro ordinamento se non fossero stati poi stroncati, credo in modo del tutto illegale, da leggi che ne rovesciavano il senso e il risultato (anche in quell’occasione votate dal Parlamento in omaggio ai magistrati che stavano iniziando la loro ascesa al potere).

Però i referendum hanno comunque, ancora, un formidabile valore politico. Il referendum sulla separazione delle carriere, in realtà, non separa le carriere. E tuttavia, se sarà vinto, permetterà un piccolo passo in quella direzione. Imporrà una distinzione delle funzioni e accennerà alla possibilità di una riforma costituzionale che effettivamente stabilisca la separazione, e cioè la distinzione tra accusa e giudici, la neutralità del giudice, come previsto dall’articolo 111 della carta, e che oggi è affidata solo alla coscienza individuale di alcuni seri magistrati. Lo stesso ragionamento vale per il limite alla carcerazione preventiva, che oggi è il moschetto di Pm e Gip (quasi sempre alleati). Il potere di prendere qualcuno e sbatterlo in carcere senza che sia stato giudicato è il vero potere – spaventoso, medievale – dei Pm e dei Gip. Ed è usato con grande spregiudicatezza come scettro e anche come strumento di indagine. Il magistrato è in grado di dirti: “Non esci da qui se non mi dici quel che voglio sentirti dire”. E spesso ottiene quel che vuole.

Il potere di incarcerare i propri indiziati (o le proprie vittime) talvolta assomiglia molto a quello che due secoli fa era il potere della tortura. E che fu abolito non perché ritenuto crudele, ma perché ritenuto illegale in quanto mescolava pena e indagine. In quell’epoca ci si poneva seriamente il problema dello Stato di Diritto, che oggi, dal fronte ampio dei giustizialisti, è considerato solo un fastidio, un intralcio alla giustizia etica. Il referendum non risolve il problema, perché si limita a proibire l’arresto solo nel caso che l’accusa sia lievissima. Ma Pm e Gip sanno bene come si fa per introdurre una qualunque aggravante e sbatterti in gattabuia comunque. Voglio vedere però, se per caso si riesce a vincere questo referendum, se poi i partiti si rifiuteranno nuovamente di fare una legge che limiti i poteri dei magistrati e l’ignominia degli innocenti in cella…

La notizia buona, oggi, è solo questa. È vero, il partito dei Pm è ancora fortissimo. Dà le carte. È in grado, solo con una sfuriata del Fatto, di mettere a tacere il Presidente della Corte e di imporre un suo diktat. Però oggi la battaglia, finalmente, è aperta. È evidente che se si vincono i referendum la spallata alla Casta sarà fortissima. E nessuno più potrà ignorarla. È la madre di tutte le battaglie per lo Stato di diritto. Se vincono loro, credo che possiamo rassegnarci: l’Italia diventerà un paese sempre più simile alla Turchia o all’Egitto. Lo Stato di diritto sarà solo un sogno. Se però perdono si riaprono tutte le prospettive di mettere insieme un fronte liberale e libertario in grado di fronteggiare il giustizialismo. Tutti i partiti dovranno decidere cosa fare. Soprattutto i partiti di sinistra: lasceranno alla destra questa battaglia di civiltà, o troveranno il coraggio per affrancarsi dal ruolo ancillare verso le Procure che hanno avuto in questi ultimi 30 anni?

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.