La riorganizzazione della sanità territoriale veneta rappresenta uno dei capitoli più complessi della governance sanitaria regionale. Dal 2010, il sistema ha subito trasformazioni radicali che hanno ridisegnato l’assistenza fuori dagli ospedali, con risultati che oscillano tra eccellenze riconosciute e criticità strutturali mai completamente risolte.

Il passaggio dalle ULSS alle Medicine di Gruppo Integrate e poi alle attuali aggregazioni funzionali territoriali ha coinvolto progressivamente il 78% dei medici di base, creando 580 medicine di gruppo che servono oltre 3,8 milioni di veneti. I numeri raccontano un’espansione importante: 26 Ospedali di Comunità attivi con 760 posti letto per cure intermedie, 89 Case della Salute operative, 17 Centrali Operative Territoriali che dal 2022 coordinano la presa in carico integrata. L’assistenza domiciliare copre oggi il 7,2% degli over 65, sopra la media nazionale. Il telemonitoraggio, implementato per 120mila pazienti cronici, ha ridotto del 18% i ricoveri inappropriati.

Tuttavia, le criticità emergono chiaramente dai dati di accesso. Le liste d’attesa per visite specialistiche ambulatoriali – competenza del territorio – superano i 200 giorni per oculistica, 180 per cardiologia, 160 per dermatologia in diverse ULSS. Il problema non è solo organizzativo: la distribuzione delle Case della Salute privilegia i centri maggiori, lasciando scoperte vaste aree del Bellunese, del Polesine e della pedemontana. Il modello veneto rimane un’eccellenza nel panorama nazionale per innovazione e copertura, ma sconta ritardi nell’equità di accesso e nella reale integrazione dei servizi, temi centrali per il futuro della sanità regionale.