“Buongiorno Italia” ha scritto sulla telecamera. A Melbourne erano le 18:15 del pomeriggio, in Italia le 8:15 del mattino e i tennis fan si stropicciavano gli occhi tra il sogno e la realtà. Il ragazzo dai capelli rossi, gli occhi blu e il diastema di denti radi più amato nella storia del tennis (dopo quello di un altro Yannick che di cognome fa Noah) aveva da pochi minuti regalato all’Italia la prima finale slam sul cemento australiano nella storia del tennis azzurro. Abbracciandosi a rete, Jannik Sinner e Novak Djokovic si sono sussurrati qualcosa all’orecchio. E in quel gesto, che le telecamere non hanno potuto catturare relegandolo per sempre nello spazio misterioso che sta tra la leggenda e l’intimità, ciascuno di noi può fissare la magia e il fascino di un momento indimenticabile.

Jannik Sinner giocherà domenica mattina (ore 9:30 italiane) la sua prima finale Slam contro il russo Daniil Medvedev che ha sconfitto al quinto set dopo essere stato sotto nei primi due, l’altro semifinalista, il tedesco Alexander Zverev. Nelle semifinali sono stati in campo a Melbourne il numero 1, 3, 4 e 6 del mondo. Al netto delle uscite anzitempo di Alcaraz (n°2, per mano di Zverev) e di Tsitsipas (n°5 negli ottavi contro Taylor Fritz), possiamo dire che il tabellone del primo slam della stagione ha confermato le forze in campo. Ma non c’è dubbio che in quell’abbraccio a rete tra Nole e Jannik molti ci hanno visto la fine della stagione d’oro dei Fab Four di cui Nole è ancora l’unico competitivo al top level. Quella di domenica sarà la prima finale Slam degli ultimi quindici anni dove non giocheranno né Djokovic, né Nadal, né Federer. Guardi il tabellone e ti prende la vertigine delle svolte epocali. “Mai giocato così male per due set” ha detto il serbo nella conferenza stampa post match, “non mi sono piaciuto, non mi sono riconosciuto” ha ammesso pur riconoscendo a Sinner il merito della partita perfetta e consegnando il testimone del “probabile vincitore” dello Slam down under. Perché Nole, da campione qual è, conosce la differenza tra una partita giocata male e quella in cui non riesci a giocare perché l’avversario non te le fa giocare. Che è quello che è successo nelle tre ore e ventidue minuti del match: nei primi due Sinner ha dominato il serbo, falloso, poco mobile ma soprattutto costretto a giocare sempre molto dietro la riga di fondo; nel terzo Nole è risorto, ha sbagliato meno, ha rimesso i piedi in campo, è arrivato al tie break dove ha annullato un match ball (dritto a rete di Sinner); nel quarto l’azzurro ha ripreso il discorso là dove lo aveva lasciato prima di perdere il tiebreak, ha continuato a dominare e ha chiuso 6-3.

Ci sono i record. E ci sono le emozioni. Ci si può appassionare ad entrambi ma sono le seconde che ti restano appiccate addosso. Djokovic era imbattuto a Melbourne dal 2018 quando perse, chissà poi perché, contro la meteora coreana Chung di cui poi abbiamo perso le tracce. Sono più di duemila giorni (2195), gli statisti comunicano che è lo stesso lasso di tempo intercorso a Wimbledon prima che Alcaraz, a luglio 2023, lo mandasse in frantumi sempre contro il serbo. Ancora i record: Sinner è il quinto italiano a raggiunge una finale slam. Prima di lui c’erano riusciti Pietrangeli (’59-’60-’64); Giorgio De Stefani (1932) e Adriano Panatta (1976) ma è sempre stata una faccenda da terra rossa. Adriano e Nicola li hanno vinti ed è in pratica l’unico record rimasto visto che la Davis è tornata in Italia due mesi fa dopo quarantasette anni. Poi è arrivato Matteo Berrettini che osò sfidare il tempio di Wimbledon (2021) dove andò a sbattere contro il solito Djokovic. E adesso tocca a lui, il più giovane di tutti e di sempre. Sinner è il primo italiano a non aver concesso palle break in uno slam a Djokovic. È il primo italiano a battere il serbo in semifinale in uno Slam e anche il primo a battere il numero uno del mondo in uno Slam. Se andiamo a spulciare gli annali chissà quanti altre record possiamo trovare.

Allora è il tempo di passare alle emozioni. Che sono tante, magiche, quelle che ti restano appiccate addosso. “Mi ha dominato” ha detto Nole. Nei primi due set l’azzurro non ha mai perso la posizione in campo, piedi sulla riga, ha disegnato il campo in cerca degli angoli con la precisione del compasso per poi andare a chiudere nell’angolo opposto con lo schiaffo al volo. Ingiocabile. Intelligenza artificiale applicata al tennis. Chissà, in fondo Jannik si allena anche con una sorta di video gioco. Dopo un’ora e 13 il tabellone indicava 6-1 6-2. Per trovare un precedente bisogna tornare indietro al debutto australiano di Djokovic, nel 2005 contro Safin. Sinner andava all’asilo. E sciava. Anche lì vinceva.

Nel primo game del terzo set, l’ultimo appello per Nole, Sinner è andato su una palla corta del serbo, è riuscito a scivolare, ha staccato la mano e ha adagiato un rovescio lungolinea imprendibile. Un gesto “normale” per il serbo. L’emozione di scambiare Sinner per Djokovic. I nove servizi vincenti contro i sette del serbo che ha fatto anche 58 gratuiti (28 l’azzurro). La paura del match ball sprecato nel tie break del terzo set, un dritto che s’infila a rete. Il serbo rialza la testa, si prende il vero set, dici: “Ecco, ora cambia tutto, ora andiamo al quinto e…”.  L’emozione è vedere Sinner che resta imperturbabile, che si butta dietro le spalle quel brutto errore come solo i grandi, e neppure sempre, sanno fare. È vedere questo giovane che a Wimbledon, a luglio, semifinale contro Djokovic, aveva perso in tre set, testa bassa e senza un domani. “Quando perdo imparo” ama ripetere Jannik. Eccome se ha imparato. Poi aggiungi equilibrio, intelligenza motoria e mentale, controllo, consapevolezza, anche quel pizzico di leggerezza necessario sempre per lottare, vincere, perdere senza farsi travolgere e rialzarsi. Ha imparato a sorridere Sinner, e ogni volta che lo fa è contagioso. “Il problema è portarlo via dal campo” dice il senior coach Darren Cahill. “La cosa che mi ha sempre colpito di lui è il rumore che fa la palla quando impatta sulle corde: è uno schiocco secco, è il suono che sanno fare solo quelli forti”.

L’emozione è salire 4-1 e poi 5-2 nel quarto set. Sul 5-3, l’azzurro serve e gioca come se fosse il primo game della prima partita: piedi in campo, angoli, palle cariche che rimbalzano e buttano fuori dal campo, e poi il tempo giusto per scaricare tutta la somma di spinte che vengono dai piedi fino alla mano in un dritto lungolinea a uscire che chiude la partita. Un lungolinea che ha scritto la storia.

E poi che fa Sinner? Alza le braccia, sorride, ascolta le domande dei giornalisti in campo: “Certo che sono felice, momento speciale. Ma adesso ho una finale da giocare, Nole oggi non ha fatto vedere il suo miglior tennis. Domani mi alleno un po’, mi voglio anche un po’ rilassare”. Vittoria e sconfitta, quei due impostori. Buongiorno Italia, ci vediamo domenica. Intanto oggi assaggiamo il brivido della finale di doppio maschile con la coppia da Davis Bolelli-Vavassori.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.