Cari Feltri e Senaldi,
una parola di solidarietà che spero non resti isolata: e siano soprattutto colleghe e colleghi, ad esprimerla. La richiesta di tre anni e quattro mesi di reclusione, più 5mila euro di multa, per Vittorio Feltri; e di otto mesi di carcere per Pietro Senaldi colpevoli di aver scritto e pubblicato il 10 febbraio 2017 (cinque anni fa!) l’articolo “Patata bollente”, mi sembra una balordaggine rara: qualcosa che avrebbe affascinato Gustave Flaubert, “ossessionato” com’era dall’epopea della stupidità culturale e non.

Premesso che mai mi sarei espresso nei confronti del sindaco Virginia Raggi (che considero una iattura per Roma) nei termini in cui vi siete espressi; aggiunto che trovo quel titolo di rara volgarità, letteralmente indecente e stupidamente offensivo; non riesco a capire come il magistrato che ha formulato una simile proposta di condanna non si sia reso conto dell’enormità del suo dire e del suo chiedere. Poi, mi ricredo: mi viene in mente una vicenda che mi ha riguardato personalmente, anni fa. Sono stato per qualche tempo direttore responsabile di un settimanale satirico di qualche merito, “Il Male”. In questa veste vengo querelato per una vignetta da altri realizzata.

In primo grado, il tribunale di Perugia mi condanna a due anni e sei mesi di carcere senza condizionale. Il tribunale d’appello, a Orvieto conferma. Non mi garba andare in galera per un disegnino, e non mi vergogno di aver messo in mezzo la politica: nella forma di interrogazione al ministro della Giustizia, e firmata da mezzo Parlamento: dalla A di Abbatangelo (deputato del Msi), alla V di Violante (deputato del Pci). Quanto ai colleghi, pochissimi ma buoni, si schierano: Oreste del Buono, Giorgio Forattini, Indro Montanelli, Giampiero Mughini, Marco Pannella, Roberto Roversi, Leonardo Sciascia, Salvatore Sechi. L’allora presidente della Federazione della Stampa, Miriam Mafai, quando le chiedo conto del silenzio, dice che della vicenda non sa nulla; e dopo che lo sa? Nulla lo stesso… Finisce che la Corte di Cassazione trova il modo di cavare le castagne dal fuoco: individua non so quale vizio di forma, spedisce tutto al tribunale dell’Aquila. I magistrati di quella città, giustamente impegnati in cose più serie, infilano lo scartafaccio del processo in qualche armadio; da allora non se ne è fatto più nulla. Particolare non irrilevante: protagonista della vignetta incriminata un magistrato romano.

Fossi in Virginia Raggi farei il bel gesto di ritirare subito la querela; non è in questo modo che si “lava” un presunto oltraggio subito. Ma forse è troppo sperare in un gesto generoso e intelligente. Quanto a Feltri e Senaldi, auguro un “in bocca al lupo”. Trovo ottimo il consiglio di Benedetto Croce contenuto in una lettera a Giovanni Amendola a proposito di una disavventura giudiziaria capitata a Giuseppe Prezzolini; il consiglio è “di stare quanto più possibile lontano dai tribunali”. La data della lettera: 1 giugno 1911! Come da allora sia mutato poco, e quel poco non in meglio, ognuno lo sa e lo vede.