«Tanto sono cinque minuti, che fa…». Quante volte abbiamo sentito dire questa frase e quante altre l’abbiamo pronunciata noi? Un’infinità di volte. La macchina in seconda fila per comprare al volo il pane: tanto sono cinque minuti, che fa. Lo scooter parcheggiato sul marciapiede per prendere le sigarette al distributore automatico: tanto sono cinque minuti, che fa. La bottiglina di plastica appoggiata su una panchina in un parco: cinque minuti, poi la butto. E rimane lì.

È una frase banale, ridondante, che ripetiamo come un mantra decine di volte al giorno. Fateci caso. Provate a contare le volte che dite: tanto sono cinque minuti, che fa. E invece fa. Perché se sommiamo i cinque minuti di chi scrive, a quelli della signora del piano di sotto, a quelli del salumiere e di chiunque altro, i minuti non saranno più cinque ma cinquanta e poi cento e poi mille. E poi i cinque minuti si trasformeranno in giorni nei quali diventeranno il nostro modo di misurare il tempo. La foto che accompagna questa riflessione non vuole sottolineare per l’ennesima volta l’inciviltà di alcuni, che sono incivili non perché sono napoletani, vuole parlare e raccontarvi la risposta di chi così la macchina l’ha parcheggiata. “Ma tanto sono cinque minuti, che fa”. E invece fa.

Fa perché di cinque minuti in cinque minuti, diventiamo persone peggiori e non ce ne rendiamo conto. Fa perché l’approssimazione, la poca cura che mettiamo nello scegliere i nostri comportamenti e le parole da dire all’altro ci rendono persone poco attente, noncuranti. Fa perché se si continua a ragionare in virtù di quei cinque minuti la città diventerà sempre più invivibile, di cinque minuti in cinque minuti. Saremo sempre più arrabbiati, scontrosi, distratti, egoisti. Saremo abitanti distratti di una città che non ci vuole più. E a furia di dire sono cinque minuti, che fa. È sempre cos’e niente. Tutte le situazioni così l’abbiamo risolte: è cosa ’e niente, è cosa ’e niente. A furia ‘e ddicere è cosa ‘e niente siamo diventati cos’e nient. Forse, aveva ragione De Filippo.

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.