Nel maggio scorso, una indagine nel nord Italia ha rilevato un aumento del 58% degli arresti cardiaci extra ospedalieri che ha coinciso con la peggiore delle epidemie di Covid-19. Nelle regioni italiane dove la pandemia è arrivata prima, l’aumento è stato del 187 per cento. A giugno, Cancer Research UK ha avvertito che circa 24 mila casi di cancro non erano stati diagnosticati dopo che quasi 2,5 milioni di persone non erano state sottoposte a screening, test o cure. La necessità di una migliore assistenza digitale a distanza per colmare le lacune nel sistema sanitario esiste da tempo. Ma l’impatto di Covid-19 rende sempre più urgente l’uso di strumenti digitali per garantire la massima efficacia dei servizi sanitari. Senza contare l’impatto economico positivo sui costi del sistema pubblico di assistenza.

Come spiega uno studio del New England Journal of Medicine (NEJM) a differenza della “spagnola” del 1918, diventata un’epidemia internazionale nel corso di un anno, il Covid-19 si è diffuso in tutti i continenti abitabili in poche settimane, superando la capacità dei sistemi sanitari di testare, monitorare e contenere le persone con sospetta infezione. «Per continuare a funzionare – si legge nello studio – le aziende private e gli istituti di istruzione superiore hanno effettuato una brusca transizione alla videoconferenza remota e ad altre soluzioni digitali, mentre il sistema sanitario sta ancora gestendo questa crisi in gran parte attraverso rischiose visite fisiche». Per i ricercatori del NEJM, l’assistenza sanitaria è ancora pensata sulla base del pensiero analogico: non è attrezzata per far fronte a un’epidemia che si diffonde così rapidamente. «L’industria sanitaria statunitense – dicono i ricercatori – è strutturata sul modello storicamente necessario delle interazioni di persona tra i pazienti e i loro medici. I flussi di lavoro clinici e gli incentivi economici sono stati in gran parte sviluppati per supportare e rafforzare un modello di assistenza faccia a faccia, con conseguente raccolta di pazienti nei reparti di emergenza e nelle aree di attesa durante questa crisi. Questa struttura assistenziale contribuisce alla diffusione del virus a pazienti non infetti che richiedono una valutazione». E così i pazienti più vulnerabili con patologie croniche multiple dovranno affrontare la difficile scelta tra il rischio di esposizione al Covid-19 durante una visita medica e il rinvio delle cure necessarie.

Come avverte Marcin Golec, medico ed economista sanitario della divisione scienze della vita della Banca europea per gli investimenti, «la pandemia da coronavirus accelererà la digitalizzazione del settore sanitario». A che cosa serve il digitale? In primo luogo, l’analisi dei dati dei pazienti, oggi, può aiutare i medici a curare i pazienti che verranno domani. Inoltre, «ci sono strumenti che consentono di seguire lo stato di salute del paziente una volta lasciato un ospedale o una struttura sanitaria», spiega Golec. Telemedicina, mobile health e l’applicazione di app di quarantena, consentono di seguire le persone mentre sono in quarantena. Ma potrebbero anche essere usati per seguire il loro stato di salute e per fornire una rapida consulenza medica.

I cambiamenti potrebbero essere radicali, insomma. «Fino 50 anni fa – ricorda Golec – i nostri medici potevano usare solo i raggi X. Erano ciechi, in un certo senso. Non potevano guardare nei nostri corpi. Ora hanno la tomografia computerizzata e la risonanza magnetica: possono guardare dentro di noi». Con la digitalizzazione, i medici avranno una visione approfondita dei nostri dati e saranno in grado di affrontare i nostri problemi di salute molto meglio. «Questo vale per situazioni come le pandemie dove abbiamo già visto l’impatto dell’uso dei dati in alcuni paesi come Taiwan. Quando questa digitalizzazione è stata applicata efficacemente, la portata delle pandemie è stata ridotta», assicura Golec. «Ma questi benefici si applicheranno anche a malattie come il cancro o ad altre malattie non trasmissibili, come il diabete o le malattie cardiovascolari», conclude.

Di recente, la prestigiosa rivista Nature ha spiegato come è possibile riorganizzare il sistema sanitario contro la minaccia pandemica, raccontando il caso dell’Alberta Electronic Health Record Information System, una delle più grandi installazioni di cartelle cliniche elettroniche complete (EMR) basate sulla popolazione, realizzata nella provincia di Alberta in Canada. Daniel C. Baumgart, direttore del Dipartimento di Medicina e di Gastroenterologia dell’Università di Alberta, elenca una serie di buone pratiche capaci di controllare la trasmissione virale e proteggere il personale sanitario: l’assistenza virtuale in tempo reale tramite telemedicina, il monitoraggio domiciliare, gli strumenti di screening e triage online per guidare test e isolamento, la condivisione dei risultati online, il tracciamento di pazienti infetti e contatti, inclusa un’app di tracciamento dell’esposizione per smartphone (ABTraceTogether). Una strumentazione varia e complessa, insomma, con i conseguenti risparmi, che l’Italia non è ancora riuscita a realizzare, come dimostrano le cronache delle ultime settimane. Ma la strada è segnata.

Journalist, author of #Riformisti, politics, food&wine, agri-food, GnamGlam, libertaegualeIT, Juventus. Lunatic but resilient