Bandiere. Bandiere unificate nel garrire elettronico, setose, unisex, da music hall, al passo della danza dei pattinatori che si comportano come formiche scattanti su quel quadretto bianco lì sotto, dover cerchi inutilmente di arrivare dalle scale magnifiche e assirobabilonesi del Rockefeller Center, scendendo e salendo, sempre guidati, educati, ammaestrati, trattenuti da solide ma belle officer nere in uniforma sgargiante, ma all’occorrenza cattivissime perché considerano la folla come un cane pastore considera le sue pecore e così negli alberghi in cui, non importa quanto costino, sono imbrancati turisti in file animali, e loro urlano e ringhiano per controllare la reservation, per vedere la carta di credito, per spedirti ad attendere dove “la richiameremo noi fra un minuto” e naturalmente ti danno buca e quando torni è cambiato tutto, gli impiegati sono altri e la tua agitazione appare semplicemente un segnale nemico, alieno, terrorista: stati calmo o potresti finire dentro. Gli americani amano le file, le formano anche quando non è necessario e fuori da una fila si sentono come pesci fuor d’acqua, lo imparano da bambini.

Su Times Square lo spettacolo è carnivoro e innocentemente porno, un esercito di takegiver, un esercito di ambulanze, un fronte mobile di posti ristoro, bagni chimici, agenti in borghese e adolescenti di tutte le razze che già da qualche anno non praticano più la religione dell’arcobaleno multirazziale Benetton fra loro, non si mescolano e restano neri con neri, latinos con latinos, europei con europei, ognuno con i suoi. I contatti extra genetici non sono sconsigliati ma considerati una moda fallita. In queste nottate di celebrazioni per tutte le religioni, ognuno ha la sua: l’ibrido è gradito soltanto nelle automobili, tutti vogliono la Tesla, ma l’essere umano cosmopolita non è più spinto come vent’anni fa alla mescolanza umana: tu vedi che le famiglie di colore diverso si parlano, usano i protocolli civili della cortesia con gli altri colori, “excuse me sir, you are welcome sir”, ma le ragazze e i ragazzi si scelgono partner prevalentemente della loro pelle e le madri approvano, mentre i padri si stringono nelle spalle guardando la diretta di football sul grande tv screen.
La ricchezza quest’anno tracima, tutti hanno quattrini da spendere, mai l’America è stata più ricca e con meno poveri e disoccupati, le categorie ottengono aumenti e migliori condizioni per la pensione e dunque la gente spende ma più che altro guarda.

Il cuore azzurro e rosso e viola e bianco e oro e ancora rosso di New York pulsa come una enorme pompa cardiaca e la gente è qui per esserci, per guardare, per controllare che tutti ci siano, che l’esserci sia più importante del vedere perché, quanto al vedere, Iddio ha inventato l’iPhone e l’iPad con cui ogni attimo è ripreso, ogni piega e goccia, ogni suono e pena sono registrati, e certamente nessuno avrà mai il tempo nella sua vita di rivivere ciò che ha vissuto sulle sue cellule elettroniche e spedito via social a milioni di amici che rispediscono e rigettano e affogano e gettano e vivono. Tutti in una sola fila immobile e oscillante, compressi, senza speranza, senza spazio, senza ossigeno, mille bagliori fulminati nell’iride nel nuovo Paradiso/Inferno che sarebbe piaciuto a Dante.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.