Leila Slimani, scrittrice franco-marocchina, in Francia è nota anche per aver vinto il premio Goncourt nel 2016 ed è certamente una voce molto interessante del panorama letterario europeo. Per La Nave di Teseo esce adesso un romanzo di tre anni fa molto particolare e ricchissimo di suggestioni, “Il profumo che hanno i fiori la notte” (traduzione di Anna D’Elia).

L’io narrante, chiaramente lei, è una scrittrice cui viene chiesto dall’editore di fare un’esperienza molto molto particolare: essere rinchiusa per una notte nel museo di Punta della Dogana a Venezia. Per vedere cosa potrà venire fuori, quali suggestioni potranno supportare la sua creatività. In totale solitudine in mezzo alle opere d’arte in un museo in mezzo a Venezia, città che se così si può dire è nella sua cultura in mezzo tra Occidente e Oriente. In questa specie di cerchi concentrici c’è lei, la scrittrice nata a Rabat ma che vive a Parigi e ha girato mezzo mondo, conosce un sacco di gente, ha letto mezza letteratura mondiale (citatissima).

Personaggio, detta così, che non risulta esattamente “uno di noi”, un po’ della serie “le mie ansie di intellettuale” che conosciamo da secoli e che vanta precedenti clamorosi. Ma questo è. Dunque nella notte al museo di Punta della Dogana la protagonista rivanga il suo passato, e in questo gran peso ha la questione del disagio dell’immigrata (per quanto a Parigi…) e dei retaggi della sua cultura. «Quando, in una società, il
conservatorismo aumenta e il fanatismo tesse la sua tela, non si fa che mentire», dice con frase altamente significativa. Le opere esposte in qualche modo le parlano, le suggeriscono vie di fuga: ma quali siano non è chiaro.

Ed è tuttavia una notte memorabile: «Tra le nove di sera e le sei del mattino, sogniamo di reinventarci, non abbiamo più paura di tradire o di dire la verità, crediamo che le nostre azioni siano prive di conseguenze. Immaginiamo che tutto sia permesso, che gli errori saranno dimenticati e le colpe perdonate. La notte, territorio della reinvenzione, delle preghiere mormorate, delle passioni erotiche. La notte, il luogo in cui le utopie assumono un che di possibile, in cui il reale e le cose banali sembrano non poter più asservirci. La notte, paese dei sogni in cui scopriamo di accogliere, nel segreto del nostro cuore, una pluralità di voci e un’infinità di mondi». Non c’è risposta, nella notte veneziana, alle inquietudini della scrittrice. “Condannata” a scrivere perché scrivere cancella tutto. In questa prigionia intellettuale tuttavia – ci lancia quest’àncora, Leila Slimani – ci può essere qualcosa che se non è proprio la felicità, però le assomiglia.