Questo romanzo, “Una storia russa“, che si potrebbe intitolare “Una storia ucraina”, è bello, molto bello (Edizioni e/o, traduzione di Alessandro Achilli). L’ha scritto nel 2012, dunque due anni prima dell’attacco putiniano al Donbass e alla Crimea, Jevhenija Kononenko, una grande scrittrice ucraina, anche poetessa e traduttrice letteraria dal francese e dall’inglese. La vicenda inizia in tono lieve nel Midwest americano, dove si incontrano il quindicenne Myroslav, i suoi genitori separati e risposati, dunque quattro adulti: un ucraino, un francese, un’ucraina, una russa che avviano una difficile conversazione nella quale s’intersecano lingue, culture, umanità diverse.

Da questo crogiuolo iniziale poi viene fuori con forza il personaggio di Jevhen Samars’kyj, ucraino, scappato dall’Unione sovietica e “inseguito” dalla grande letteratura russa e dai fantasmi di quelle pagine, dove svetta l'”Onegin” di Puškin. E proprio come Onegin, Jevhen cerca rifugio nella campagna, nel suo caso l’Ucraina profonda, in una terra remota e senza tempo: «Mentre si spingeva dalle tre betulle alla casa in mattoni grigi che gli aveva indicato la donna con il fazzoletto bianco, pensava: eccola, l’Ucraina». Jevhen vaga alla ricerca di sé stesso e di una identità forte anche in senso culturale, cioè spirituale, tra le macerie di due mondi, se così si può dire: quello russo e quello, in filigrana, ucraino.

Ci saranno sviluppi, storie, come in ogni buon romanzo (e quella letteratura nel costruire trame non è seconda a nessuno nella capacità di inventare intrecci) e pagine bellissime di alta prosa: «L’orologio da polso gli si era fermato. Si era proprio smarrito, nel tempo e nello spazio. Il sentiero si stendeva tra le erbe come un serpente, per non portarlo in nessun luogo. Anzi no, forse conduceva dritto dritto all’inferno, a giudicare dal caldo che faceva. Eccolo, il lato oscuro delle forze della natura. Il mare, la montagna, il bosco, la steppa – tutti posti in cui ci si può perdere e da cui si rischia di non uscire». E ancora: «Altro che emozione, è terrore puro, quello. E dire che non c’è steppa lì! In quella zona ce ne vuole per trovare spazi così sconfinati. E invece… Quando ormai stava per accasciarsi a terra, rassegnato a soccombere a quel sole rovente, vide all’improvviso due figure femminili». Sembra musica.

Kononenko ci regala dunque questo breve, densissimo racconto sospeso tra mondi la cui diversità a noi sfugge (lo stiamo vedendo tragicamente con il sanguinoso conflitto scatenato contro l’Ucraina), tra sentimenti contrastanti di individui alla ricerca di qualcosa d’altro. Scritto benissimo, “Una storia russa”, anche grazie a una traduzione (che non deve essere stata facile) di Alessandro Achilli, ci giunge smagliante, come l’anima ucraina.