In un dibattito pubblico angosciato da una guerra così vicina e immiserito da un’attualità politica stanca e ripetitiva, Stefano Lucchini, Chief Institutional Affairs and External Communication Officer di Intesa Sanpaolo introduce, con un bell’articolo pubblicato nei giorni scorsi, il tema della “bellezza” quale elemento non tanto estetico ma più propriamente culturale indicando in essa il punto di partenza per la rinascita dei valori dell’Occidente.

La cultura per Lucchini, intervenuto in occasione degli Stati generali organizzati dal Sole 24 Ore, può essere considerata, in una dimensione trasversale, componente strutturale della modernizzazione economica, ambientale, digitale e sociale del Paese se diventa impegno civico per rinnovare e difendere democrazia, libertà, bene comune e aiuto ai più deboli. Bisogna ringraziare Lucchini per questo suo intervento molto apprezzato e da diffondere il più possibile. La cultura è infatti oggi il mezzo più efficace – forse il solo – per restituire un rinnovato vigore a quella “normalità” sulla quale nell’ultimo quarto di secolo l’Occidente si è adagiato in maniera pigra nell’errata convinzione che la globalizzazione avrebbe trasformato i propri valori in valori universali. È accaduto il contrario: sono stati messi essi stessi in discussione. Non solo. Non possiamo non prendere atto che l’epoca che viviamo è caratterizzata da profondi e sempre più rapidi cambiamenti e che il processo degenerativo potrebbe accentuarsi e produrre degrado ed esclusione. La capacità dell’economia di stimolare l’innovazione e il progresso tecnologico è essenziale per la crescita e il benessere ma il rischio che non tutti possano partecipare a questa crescita e godere di questo benessere è troppo serio.

La reazione più immediata a questo cupio dissolvi sempre più evidente potrebbe prendere avvio proprio dalla consapevolezza della funzione della bellezza e della cultura. L’intervento di Lucchini si inserisce autorevolmente in un percorso che da qualche tempo cerca di trasformare la concezione della cultura da orpello di lusso a fattore di crescita economica. Nel suo discorso di insediamento il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha parlato esplicitamente di cultura che non è «superfluo» ma «elemento costitutivo dell’identità italiana». Il Ministro della cultura Dario Franceschini, soltanto un paio di mesi fa, ha pubblicato un libro per rispondere alla domanda «Con la cultura non si mangia?». Il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, già nel 2016 aveva provato a smontare proprio questo luogo comune partecipando, con un suo scritto, ad una raccolta di autori vari edita da Laterza dal titolo Il pregiudizio universale – Un catalogo d’autore di pregiudizi e luoghi comuni.

Insomma sono molti e tutti autorevoli gli interventi che da qualche tempo stanno provando a dare corpo all’idea della cultura che, attraverso la bellezza, può diventare volano per un’economia di crescita che trova nella sostenibilità ambientale, nel risparmio energetico, nell’educazione finanziaria e nella lotta alle diseguaglianze, i suoi assi portanti e non soltanto dei corollari “vari ed eventuali”. Ciò che ancora manca è che questa consapevolezza diventi diffusa, diventi cioè senso comune. Eppure in Italia l’intreccio tra arte, bellezza, storia, paesaggio ha da sempre costituito un elemento della propria identità. La cultura può e deve essere un fattore strategico per uno sviluppo economico sostenibile, un moltiplicatore di crescita civile e democratica, una concreta possibilità per guardare al futuro con uno sguardo lungo, ampio e dotato di respiro. Il sistema bancario può svolgere – in parte già lo fa – un ruolo non secondario in questo processo. Anche le banche devono sentire proprio l’obiettivo di aiutare, incoraggiare e stimolare la diffusione della cultura in questa accezione di elemento di sviluppo, crescita e rinascita morale.

Questo avviene non soltanto attraverso l’erogazione di risorse economiche ma anche e soprattutto grazie alla capacità di una presenza attiva e partecipata alla vita delle comunità territoriali stando ogni giorno al fianco degli enti locali, delle istituzioni culturali pubbliche e private e delle imprese profit e non profit che siano. Così la cultura da un lato diventa essa stessa “impresa” che crea lavoro e prospettive occupazionali e quindi ricchezza (sì, allora, che con la cultura si mangia!) e dall’altro, contribuendo a ridurre disuguaglianze sociali e geografiche e diffondendo il valore della bellezza, arricchisce moralmente la nostra civiltà. Le crisi economiche, ma in parte anche quella sanitaria, dovrebbero averci insegnato che la finanza al servizio dell’economia reale per la realizzazione del bene comune è anche un antidoto ai facili e rapidi arricchimenti che, negando una effettiva circolazione e distribuzione della ricchezza, rappresentano un rischio per i redditi, l’occupazione e la stabilità dell’intero sistema economico. La separazione tra sviluppo della finanza ed economia reale, oltre ad aver causato uno squilibrio nella diffusione e nella crescita del benessere, ha prodotto disfacimento morale, politico e sociale. Partendo dalla cultura si può invertire la tendenza.