Il senso dell’incontro di ieri a Castel Gandolfo fra Leone XIV e il presidente ucraino Zelensky può essere sintetizzato così per la Santa Sede: qualsiasi tregua è meglio di qualsiasi guerra. Se la guerra a Gaza, regnante papa Francesco, ha messo a repentaglio sessant’anni di dialogo ebraico-cristiano, la guerra di aggressione della Russia all’Ucraina ha obnubilato l’accordo tra il Pontefice argentino e il patriarca russo Kirill firmato nel 2016. Il testo di quell’accordo bilaterale ci spiega due cose per capire la posizione del Vaticano sulla guerra in Ucraina.

La prima: la secolarizzazione aggressiva dell’Occidente nei confronti dei valori della civiltà cristiana deve trovare la Chiesa cattolica e quella ortodossa non impreparate. L’attacco sferrato da Putin il 22 febbraio 2022 ha però finito per spostare il conflitto dall’esterno all’interno delle chiese ortodosse. La seconda: le guerre culturali sono legittime per ripristinare l’ordine della giustizia naturale. Il problema è che l’aggressione russa ha trasformato la guerra culturale in guerra militare, finendo per strumentalizzare il messaggio cristiano secolarizzandolo a sua volta.

Papa Leone XIV ha capito che bisognava spostare l’asse della questione ucraina. Il discorso sulla pace si commuta in discorso sulla giustizia. La fonte di riferimento sul punto è ancora una volta il patrimonio di pensiero agostiniano, nella sua duplice direzione: culturale e politica. Sul piano culturale, la Chiesa leonina accelera il processo di conoscenza del pensiero di sant’Agostino attraverso la traduzione e la diffusione della sua opera omnia nei Paesi di tradizione ortodossa, la prima delle quali è la Russia seguita a ruota dall’Ucraina.

Sul fronte politico entrano in gioco la virtù della speranza e il criterio della giustizia. La prima attiene alla sfera del diritto internazionale, il quale continua per la Santa Sede a rappresentare il linguaggio che accomuna la speranza alla fraternità, richiamando gli Stati alla consapevolezza che nessun ordine può dirsi giusto se fondato sulla paura e sulla minaccia della forza che si trasforma in violenza. Sant’Agostino riprende l’idea che la giustizia nasca dall’empatia. Questa è stato il valore fondante prima dello Stato di legalità e poi dello Stato di diritto in Occidente. Anche qui bisogna interpretare i segnali, due in particolare.

Nei giorni scorsi a Roma si è svolto un simposio in cui, analizzando il pontificato di Pio XII, ci si è interrogati su come conciliare l’occidentalismo con l’empatia universalistica. È il cristianesimo a costruire il legame genetico fra Occidente e universalismo, perché la fede cristiana, nella connessione fra Papi e imperatori, aveva convertito le masse al cristianesimo trasformandole in cittadini europei.
Quando Leone assegna all’Italia il ruolo di mediatore privilegiato, lo fa perché sa che la Presidente del Consiglio predilige l’Europa fedele ai valori della cristianità. Il Pontefice agostiniano confida nella tradizionale empatia che, dai tempi di Giulio Andreotti e di Emilio Colombo, godeva la politica estera italiana a livello internazionale, nella consapevolezza che Roma assolve il duplice compito storico di essere ancora percepita come il fulcro del mondo occidentale e la sede dell’universalismo papale.

Giuseppe Di Leo

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