Un simulacro di giurisdizione
I casi Putin e Netanyahu e la Corte Penale Internazionale: la giustizia non è uguale per tutti, servono sanzioni economiche

Chi potrebbe negare che sia stato un passo decisivo verso un mondo più umano la costituzione di un Tribunale per contrastare i crimini di genocidio, di aggressione, di guerra, o, in generale, contro l’umanità? Ma la questione va vista in un’altra prospettiva, perché sognare è bello, ma talvolta crea delle illusioni che si scontrano con la realtà, con i limiti delle cose di questo mondo. Il diritto privo di “effettività” ha effetti peggiori dell’inesistenza di quello stesso diritto, porta inevitabilmente alla convinzione che quei valori siano irrealizzabili, o, addirittura, che l’istituzione serva a coprire le malefatte dei potenti. La (inesistente) forza coercitiva del Tribunale penale internazionale è stata dimostrata da quanto sta accadendo in Palestina e in Ucraina, è di tutta evidenza che Putin si è reso responsabile di più di uno dei crimini di competenza del Tribunale: il crimine di aggressione, i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità.
I casi Putin e Netanyahu
Tant’è che il Tribunale ha emesso un mandato di arresto, più che giustificato. Ciononostante, Putin resta al suo posto, continua la guerra di invasione, partecipa a incontri con altri Capi di Stato, che lo consultano e lo rispettano. Lo stesso può dirsi di Netanyahu, che si è reso responsabile di crimini contro l’umanità, e persino di genocidio, facendo uccidere persone del tutto estranee al conflitto, bambini, donne, cittadini inermi, e bloccando la possibilità di distribuire gli aiuti internazionali. Eppure Netanyahu, che è stato raggiunto da un mandato di arresto per crimini di guerra, continua a dettare legge in Israele, incontra Capi di Stato, è considerato un uomo affidabile nei rapporti internazionali.
Almasri ‘graziato’ dall’Italia
Anzi, c’è stato un politico italiano che ha dichiarato che il primo ministro del governo di Israele poteva venire nel nostro Paese, che sarebbe stato accolto con tutti gli onori, e che poteva stare tranquillo perché nessuno lo avrebbe arrestato. Infine, tutti ricordiamo il caso del generale Osama Elmasry Njeem (Almasri), conosciuto per i trattamenti disumani praticati in Libia, che è stato “graziato” dal nostro ministro della Giustizia, sottratto all’arresto e trasportato fuori dai nostri confini con un aereo di Stato. Eppure, anche lui era oggetto di un mandato di arresto per crimini contro l’umanità.
CPI, il rifiuto delle grandi potenze
Sono, questi, tutti episodi che non possono non aver fatto perdere ogni credibilità al Tribunale penale per i crimini contro l’umanità, e convincere il mondo che i grandi criminali la fanno sempre franca, e che il diritto colpisce gli ultimi, ma non tocca i potenti. Far perdere la fiducia nella forza del diritto, è anche questo un “crimine”. Ma le cose non potevano che andare come sono andate, e questo fallimento era più che prevedibile, per molti motivi. Anzitutto non si poteva pensare che le grandi potenze, e i loro dirigenti politici, si sarebbero sottoposti al controllo, e alle sanzioni penali, per le loro scelte di governo, e per le aggressioni a Paesi da invadere o da sottomettere. Tant’è che né la Russia, né l’America, né la Cina hanno sottoscritto lo Statuto del Tribunale per i crimini di guerra.
La giustizia non è uguale per tutti
Ci sono poi disposizioni dello Statuto di Roma che definiscono dei crimini che sono stati praticati in questi anni da Stati che governano il mondo e che, ovviamente, non avrebbero accettato di vedere giudicati i propri leader da un Tribunale, per di più privo di un’investitura universale. Si può fare un esempio: i crimini contro l’umanità includono ogni «attacco diretto contro una popolazione civile», e cioè – tra gli altri – «la deportazione o il trasferimento forzato della popolazione».
Viene alla mente l’immagine di messicani in catene che vengono trasferiti in un altro Paese per volontà del presidente degli Stati Uniti, o la proposta di Netanyahu, condivisa da Trump, di trasferire in Egitto la popolazione della Striscia di Gaza. Certo, si potrebbe obiettare che è sempre meglio un Tribunale internazionale che censura la violazione dei diritti umani, pur senza poter sanzionare i colpevoli, piuttosto che niente, piuttosto che far passare sotto silenzio certi gravissimi crimini che violano le regole più elementari della convivenza civile. Non credo che sia così. Ogni istituzione giudiziaria che si rivela incapace di colpire i potenti, che risulta priva di effettività, è un fallimento per i valori che vorrebbe tutelare, è la prova che la giustizia non è eguale per tutti.
La soluzione? Sanzioni economiche
Che fare? Certo non si può tornare indietro, dichiarare il fallimento del Tribunale penale internazionale, mandare a casa i suoi giudici. Neanche si può, però, tenere in vita un simulacro di giurisdizione di cui gli Stati si fanno beffe. L’errore sta nell’aver scelto delle sanzioni che trovano applicazione all’interno di singole nazioni, ma che sono inapplicabili se i giudici non hanno strumenti per far rispettare le loro decisioni. Com’è nel caso di specie. Si dovrebbe ricorrere, perciò, alle sanzioni economiche, o di esclusione da contesti internazionali, che sono applicabili da chi ha sottoscritto il Trattato di Roma. Forse, così, le decisioni del Tribunale avrebbero l’impronta dell’effettività, senza la quale non può parlarsi di diritto, e ancor meno di sanzioni.
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