La decisione
Trump ordina sanzioni contro la Corte Penale Internazionale: 79 Paesi fanno muro, ma l’Italia non c’è

È un nuovo fronte della sfida lanciata da Donald Trump. Uno che si combatte su un piano che finora non era stato nemmeno ipotizzato, ma che invece – come ha spiegato anche il premier ungherese Viktor Orbán – è un altro degli effetti del “tornado Trump”. Un ciclone che sembra avere già dei seguaci. Questo fronte è quello della Corte Penale Internazionale. Un organismo a cui gli Stati Uniti non aderiscono, ma che è già entrato nel mirino di The Donald per quelli che lui considera atti “illegittimi e infondati”: ovvero le azioni contro Usa e Israele.
L’ordine esecutivo
“Senza una base legittima, la Corte ha avviato indagini preliminari sul personale statunitense e nei confronti di alcuni dei nostri alleati, tra cui Israele, abusando del suo potere ed emettendo mandati di arresto infondati nei confronti del premier Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della Difesa Yoav Gallant”, si legge nell’ordine esecutivo pubblicato dalla Casa Bianca. E tra le “conseguenze tangibili e significative”, l’ordine esecutivo del presidente americano prevede anche il congelamento di proprietà e asset della Corte negli Stati Uniti e lo stop ai visti per i suoi dipendenti e le famiglie che devono recarsi in territorio americano.
Lo scenario
Un attacco su tutta la linea. “L’ultimo di una serie di attacchi senza precedenti”, ha sottolineato la presidente della Corte, Tomoko Akane, che ha condannato la decisione del tycoon parlando di misure che colpiscono “gli Stati parte della Corte, l’ordine internazionale basato sullo Stato di diritto e milioni di vittime”. E su questi attacchi, l’Europa ha cercato di fare blocco. Un tentativo che però ha mostrato, ancora una volta, le falle all’interno del sistema di Bruxelles. Tutte le maggiori istituzioni dell’Unione hanno provato a chiedere a Trump di ripensarci e hanno condannato la scelta di Washington. La Corte Penale Internazionale – ha scritto su X la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen – “garantisce la responsabilità per i crimini internazionali e dà voce alle vittime in tutto il mondo, deve poter perseguire liberamente la lotta contro l’impunità globale”.
Sanzionare la CPI “minaccia l’indipendenza della Corte e mina il sistema di giustizia penale internazionale nel suo complesso”, ha scritto invece il presidente del Consiglio europeo, António Costa. A cascata, sono poi arrivate le dichiarazioni di condanna di diversi leader Ue. Ma se uno si è espresso apertamente a favore della mossa di Trump, e cioè Orbán, altri sembrano avere ascoltato le sirene d’Oltreoceano. Il premier ungherese è stato esplicito. “È tempo che l’Ungheria riveda cosa stiamo facendo in un’organizzazione internazionale che è sottoposta a sanzioni statunitensi“, ha detto il leader magiaro, perché “stanno soffiando nuovi venti nella politica internazionale. Lo chiamiamo il Trump-tornado”.
La gravità dell’assenza italiana
Ma anche altri governi hanno assecondato o sembrano assecondare i venti di quel ciclone. Perché a stretto giro, quando 79 paesi firmatari dello Statuto di Roma hanno deciso di sottoscrivere una dichiarazione per condannare le sanzioni di Washington, i big della Ue hanno agito uniti. Si è ricomposto l’asse franco-tedesco, c’era la Spagna, c’era anche la Polonia, c’erano i paesi scandinavi. C’erano anche Norvegia e Regno Unito, Paesi al di fuori dei 27 Ue ma che hanno mostrato unità di intenti con Bruxelles e altri aderenti alla Corte. Ma tra i firmatari di quel documento manca all’appello soprattutto uno dei più importanti Stati della Ue: l’Italia. “Molto grave”, ha sentenziato Ivan Scalfarotto, responsabile Esteri di Italia Viva. Ma è anche il segnale non solo di una particolare tensione tra Roma e la CPI, specie dopo il caso Almasri, ma anche di un allineamento dell’esecutivo di Giorgia Meloni con la politica di Trump rispetto all’organo giudiziario internazionale.
Ma il documento ha un peso specifico relativo
Il documento ha un peso specifico relativo. È più che altro un richiamo all’importanza della Corte e una condanna a evitare sanzioni che possano inficiare sull’operato dei suoi funzionari. Resta però l’importanza di un elemento: anche in questo caso l’Unione Europea non è apparsa granitica di fronte a una mossa sorprendente da parte del presidente Usa. Washington conferma di avere non solo parecchi alleati nel Vecchio continente a livello strategico, ma anche a livello ideologico e più in generale politico. Lo ha fatto capire con le sanzioni a Mosca, lo ha fatto capire con le richieste per aumentare sensibilmente le spese per la Difesa, lo ha messo in chiaro anche con le mosse in politica estera riguardo l’accordo (potenziale) tra Russia e Ucraina. C’è un’Europa che ascolta The Donald e che lo segue. E ora, con la Corte Penale Internazionale, lo schema si ripete.
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