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Perché Bruxelles sbaglia
Il tycoon bluffa, mescola, alza la posta e l’Europa entra nel tunnel dei dazi per evitare lo scontro frontale
Il metodo del neo Presidente è quello di stupire, come dimostra il progetto turistico per Gaza

C’è la transizione digitale. Con l’impennata della domanda di microchip, batterie e altri device, ma dati e metadati. C’è Gaza. Punta dell’iceberg di un Mediterraneo allargato, quadrante dal quale gli Usa hanno più volte cercato di svincolarsi. E poi ci sono le materie prime. Elemento essenziale del primo punto e che oggi stanno diventando merce di scambio per la pace in Ucraina e la successiva ricostruzione. È difficile dire quale di questi treni l’Europa stia perdendo in maniera più eclatante. Soprattutto di fronte a un Donald Trump in continua evoluzione.
A neanche tre settimane dal giuramento, il Presidente Usa ha bluffato, rimescolato le carte e alzato la posta. A ogni giocata, Bruxelles si è dimostrata priva di bussola. Le montagne russe di questi ultimi giorni innescate dalla questione dazi l’hanno vista senza strategia. Le sue prese di posizione hanno provocato più ilarità che collera. Alle dichiarazioni di circostanza e alle minacce verbali non sono seguite decisioni concrete. Oppure, le poche che ci sono state sono apparse fuori dalla realtà. Come spiegarsi, infatti, la proposta di tassare le corporation digitali Usa? D’accordo, siamo soltanto a un rumor messo in circolazione da una stampa a cui piace sparare sulla croce rossa. Ma già così l’idea di mettere i dazi ai Big Tech americani, come ritorsione al nostro manifatturiero – e per incentivare una sovranità tecnologica europea – ha dell’assurdo. Dopo tutto quel che si è detto di DeepSeek.
Preso atto della mancanza di risorse per tratteggiare una roadmap della transizione digitale Ue. Assunto che l’Ai Act, per quanto nobile e necessario sia, resta pur sempre un regolamento costruttivo. Ebbene, messa a bilancio tutta questa sovrastruttura, l’Ue pretende davvero di fare la guerra agli Usa su quel campo di battaglia in cui Washington non ha rivali, e se li ha sono comunque cinesi? Ma a questo punto ben venga la porta aperta di Palazzo Chigi a Musk! Al netto di braccia tese e tutto il resto, a Roma va il merito di dialogare con un potenziale antagonista, impegnandosi affinché diventi un partner. Se poi l’operazione dovesse riuscire, sarà opportuno che l’Ue ne segua il modello. Senza tanto rosicare.
L’errore che si insiste a commettere è pensare che con Trump sia meglio evitare lo scontro diretto. Quando invece un immobiliarista come lui, cresciuto nella New York più spietata, è proprio quello che preferisce. Lo si sta vedendo con il suo “piano case” per Gaza. La proposta è assurda sotto tutti i punti di vista, ma chi ha replicato con un Piano B? In Medio Oriente, l’Europa non tocca palla da una vita. E men che meno lo farà ora che ha al vertice della sua politica estera Kaja Kallas, diplomatica estone, esperta di rango sulle cose russe. Ma proprio per questo troppo concentrata su quel dossier. Certo, nel conflitto arabo-israeliano, Italia e Francia hanno ancora frecce in faretra. Anche per l’Africa. Il Piano Mattei, per esempio, c’è. Andrebbe sviluppato in chiave europea, ma è già qualcosa. Tuttavia, davvero possiamo pensare di portare a casa dei risultati – di respiro comunitario – soltanto grazie alla tradizione diplomatica e alla buona volontà, quando, per risolvere le cose, c’è chi è disposto a mettere sul piatto un sacco di soldi, come cinesi e americani in Africa, oppure i sauditi tra Gaza, Libano e Siria?
È difficile dar torto a chi preferisce muoversi in autonomia. Il nostro governo l’ha fatto. È stato criticato. Ma va anche detto che si è trattato di iniziative isolate e con obiettivi mirati. La liberazione di Cecilia Sala e la partecipazione alla cerimonia dell’insediamento. No, sono le mosse dell’economia reale quelle meritano una riflessione. Sui dazi, il made in Italy sta dimostrando di aver meno paura di quanto ne abbia Bruxelles. Le imprese stanno giocando d’anticipo. Perché così si fa. L’auspicio è che succeda lo stesso nella ricostruzione dell’Ucraina. Se è vero che Washington risolverà il conflitto aggiudicandosi le commesse per lo sfruttamento dei giacimenti di terre rare – alla faccia dei soldi che l’Ue ha speso in armamenti per Kyiv – è lecito che a questa corsa all’oro ognuno faccia per sé. Ferro, litio e titanio sono utili anche alla nostra industria. Pensiamoci.
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