Meno male che i mercati sono chiusi nei fine settimana. Se così non fosse, chissà cosa sarebbe successo con la paura generata dagli annunci sparati dalla Casa Bianca. I dazi mettono in discussione l’economia globale? C’è chi ne è sicuro. E chi li vede come un’occasione. In realtà, l’analisi della Trumpnomics dovrebbe essere fatta con freddezza. Gli Usa valgono il 25% del PIL mondiale. E così come nessuno può permettersi di rinunciarvi, nemmeno Washington può rischiare di isolarsi. Di fronte alla perplessità degli osservatori, ci sono imprese a cui le barriere doganali potrebbero andare perfino bene.

Il sentiero di Fedegari

«Gli Stati Uniti importano il 40% del fabbisogno interno di farmaci. Le tariffe potrebbero indurre le major farmaceutiche a fare reshoring. Piuttosto che pagare le tariffe, riporterebbero la produzione in casa. In quel caso, noi forniremmo le macchine». A parlare è Paolo Fedegari della Fedegari Group di Albuzzano (Pavia). Multinazionale tascabile made in Italy, specializzata nella produzione di autoclavi farmaceutiche. Con 121 milioni di fatturato di gruppo lo scorso anno, 800 addetti operativi in tutto il mondo e la produzione radicata tra Italia e Svizzera, Fedegari è molto presente Oltreoceano. «Abbiamo un ufficio commerciale, un tech center e potremmo attrezzarci per assembleare alcune macchine in loco. Solo quelle a dimensione contenuta. Lo stiamo valutando», spiega l’imprenditore. «Certo, siamo una mosca bianca. La nostra è una filiera in salute, con poca concorrenza e che può permettersi di pagare il 10% di tariffe doganali». In generale questo non succede.

Le conseguenze per le borse

«Trump fa sul serio». È il commento di Fedele De Novellis, economista del think tank REF Ricerche. «Se negli Stati Uniti pulsasse ancora il cuore dell’industria manifatturiera globale, il protezionismo sarebbe almeno comprensibile. Oggi invece il rischio è che queste manovre portino a conseguenze importanti sui mercati finanziari». De Novellis osserva i segni negativi delle borse ieri. Da Tokyo a Wall Street, passando ovviamente per l’Europa (Piazza Affari -1,5%). «Se il mercato scontasse un premio al rischio di tipo politico legato a una maggiore incertezza e se rivedesse al ribasso le previsioni di crescita, le conseguenze per le Borse si farebbero sentire». E il mercato non è un partner gregario nella quotidianità americana. Le fluttuazioni finanziarie regolano le pensioni. «Questo potrebbe avere delle ripercussioni sulla stessa popolarità del presidente».

D’altra parte, De Novellis conosce il sentiment delle forze produttive. Giorni fa, in occasione di un meeting di Faro Club – una community di imprenditori e professionisti, dedicata al risk management e alle politiche di ottimizzazione degli acquisti di materie prime – aveva fatto un distinguo: c’è una versione soft della Trumpnomics e un’altra più hard. Oggi torna su questa differenza. «La prima l’abbiamo già vista 6 anni fa. Si introducono delle tariffe che, alla fine, non cambiano il mood dei mercati. Il punto è che le tariffe del 2019 non sono riuscite a intaccare il deficit pubblico e il disavanzo commerciale che gli Usa hanno con l’estero. Soprattutto con la Cina».

Dopodiché c’è stato l’Inflation Reduction Act di Biden, meno palesemente ma altrettanto aggressivo, fatto di sgravi fiscali per attrarre la produzione straniera sul suolo Usa. «Alla fine queste misure hanno fatto apprezzare il dollaro e quindi hanno avuto effetti limitati sulla competitività dell’industria americana». Ora De Novellis osserva che si è passati dalla narrazione – per raccogliere i voti – al mettere in pratica la versione hard della Trumpnomics: «Washington è convinta che tutti i problemi si risolvano cambiando il modo di interagire con l’esterno. Le barriere tariffarie vanno in parallelo con il mettere alla porta gli immigrati. La riduzione delle imposte, a sua volta, verrebbe finanziata da un massiccio taglio dei dipendenti pubblici, il cui vuoto sarebbe colmato dall’IA di Elon Musk».

D’altra parte, dazio chiama dazio: altri paesi possono reagire con ritorsioni alle barriere Usa. E le tariffe emesse da tutti finiscono per diventare delle barriere a sfavore di consumatori e lavoratori. «All’inizio sono una protezione per le imprese, ma sul lungo generano prezzi più alti». Non è un buon ticket politico per la Casa Bianca. Nulla è prevedibile nel mondo di Trump. Alla tensione di sabato e domenica, ha fatto seguito ieri l’annuncio di The Donald sulla sospensione dei dazi con il Messico per un mese. E su un colloquio con Justin Trudeau, primo ministro del Canada. Si naviga a vista.