Fine guerra in Ucraina e ora Gaza agli Usa
Trump e la bussola dell’isolazionismo che non c’è: da America First a attivismo su tutti i fronti
Sondaggi Reuters/Ipsos rivelano che solo il 16% sostiene il pressing sulla Groenlandia, il 29% vuole riprendere Panama e solo il 21% era a favore di un’espansione del territorio: l’isolazionismo è ancora la bussola Usa. Trump lo ricorderà?

Donald Trump aveva iniziato la sua carriera politica con un’idea chiarissima sull’agenda che avrebbe dovuto tenere Washington. Stop dell’impegno Usa nelle “guerre infinite”. America First, sì, ma non più impegnata su tutti i dossier del mondo. Una politica quasi isolazionista, che puntava a riequilibrare a suon di dazi e minacce la bilancia commerciale con il resto dei Paesi. Di quella vecchia versione del tycoon è sicuramente rimasto qualcosa. In primis l’idea dei dazi. Ma del presunto isolazionismo americano, quello per cui molti elettori l’hanno votato, Trump sembra esserne dimenticato. Almeno stando ai suoi primi giorni di Casa Bianca 2.0.
Già in campagna elettorale aveva detto che avrebbe messo fine alla guerra in Ucraina ancora prima di insediarsi come presidente. Promessa non mantenuta, ma in ogni caso sono iniziate le discussioni tra Washington, Mosca e Kiev (tema che piace a molti elettori repubblicani attenti a non spendere soldi pubblici per guerre considerate lontane). Ancora prima di entrare nello Studio Ovale, ha spedito il suo inviato Steve Witkoff in Medio Oriente per premere affinché si raggiungesse un accordo tra Israele e Hamas minacciando, in caso contrario, “l’inferno”. Successivamente, The Donald ha puntato la Danimarca, “colpevole”, a suo dire, di possedere la Groenlandia quando l’isola dovrebbe essere acquisita dagli Stati Uniti. E insieme a Copenaghen, nel mirino di Trump è finito anche Panama, lo Stato che controlla il canale indispensabile per gli Usa a livello commerciale e strategico e che Trump vuole escludere dagli investimenti cinesi a costo di impiegare le sue truppe.
Ieri, Washington ha fatto un nuovo passo in avanti, dicendo che Panama aveva accettato di far transitare gratuitamente le navi americane. Notizia smentita delle autorità del Canale. Ma intanto, dopo quattro giorni dalla visita del segretario di Stato Marco Rubio, il governo locale ha deciso di cancellare l’accordo con la Cina per la Via della Seta. E sullo sfondo, a sconvolgere le regole della comunità internazionale, c’è stato anche l’annuncio shock su Gaza, con Trump che anche ieri ha confermato che la Striscia “verrebbe consegnata agli Stati Uniti da Israele alla fine dei combattimenti” e che “non ci sarebbe bisogno di soldati americani”. E sempre secondo il tycoon, i palestinesi “sarebbero stati reinsediati in comunità molto più sicure e belle, con case nuove e moderne, nella regione. Avrebbero davvero la possibilità di essere felici, sicuri e liberi”.
Difficile dire fin dove potrà spingersi il presidente degli Stati Uniti. Quale potrebbe essere il limite o quali le reali intenzioni di un leader che appare in una duplice veste. Da un lato un uomo molto pragmatico, che tende alla migliore intesa possibile con trattative feroci e offerte eccessive o al ribasso, ma sempre fortemente improntate all’interesse nazionale. Dall’altro lato, un leader che appare estremamente convinto delle proprie posizioni, quasi come una missione da svolgere, al punto che ieri, annunciando una task force contro la discriminazione dei cristiani in America, non solo ha detto di volere “riunire il nostro Paese come una nazione sotto Dio”, ma anche che si sente “più forte” dopo i due attentati falliti e ha chiesto ai suoi cittadini di “riportare Dio dentro le nostre vite”.
Di certo, però, c’è anche una certa perplessità che rischia di infiltrarsi nell’opinione pubblica statunitense. L’America First piaceva e piace a gran parte degli elettori Usa, che l’hanno votato in massa a quest’ultima tornata elettorale. Ma questo protagonismo eclettico rischia anche di alienare diverse fette di elettori, convinti delle mosse in politica interna ma titubanti su quelle estere. I sondaggi Reuters/Ipsos realizzati a fine gennaio hanno rivelato che solo il 16% degli adulti statunitensi sosteneva il pressing sulla Danimarca per la Groenlandia, il 29% riteneva corretto riprendere il controllo del Canale di Panama, e solo il 21% era a favore di un’espansione del territorio degli Stati Uniti. E meno di un decimo degli intervistati si erano detti disposti all’uso della forza per proteggere nuovi territori. Insomma, l’America First è ancora la stella polare di molti elettori Usa. Ma non tutti apprezzano la svolta così radicale dall’isolazionismo all’attivismo su tutti i fronti.
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