Camus era indubbiamente un libertario, e fu anche spesso vicino politicamente agli anarchici. Ma il suo individualismo anarchico si fondava appunto sul senso dell’assurdo, ed era quindi nichilistico per una parte. Per un’altra parte, invece, immediato era per lui anche il senso di solidarietà verso gli altri che sono nella nostra stessa situazione, il protendersi naturale verso la comunità. Solitaire, solidaire. Camus era convinto che la felicità non dovesse trovarsi nel futuro, come volevano i rivoluzionari, ma qui nel presente, in certi attimi di felice sensualità e abbandono panìco al mondo. Amava la vita nella sua pienezza e imperfezione. «Come uomo – diceva- avverto il gusto della felicità». L’ascetismo morale che lo portava a rifiutare la violenza si univa pertanto in lui, abbastanza paradossalmente, alla necessità carnale e sensuale di godersi il mondo e le cose belle della vita: il sole, il mare, la luce, il corpo di una donna…

Amore della vita e disperazione, adesione al quotidiano e consapevolezza dell’assurdo, idealismo morale e realismo tragico: nella tensione sempre aperta fra queste polarità sta tutta la grandezza del pensiero, e anche dell’impegno etico-politico, di Camus. È quello che lui stesso, filosofo asistematico e “irregolare” (la sua filosofia è anche e soprattutto nei romanzi e nel testo teatrale), chiamò «pensiero del Sud» o «pensiero meridiano», rispolverando il mito classico del Mediterraneo, per opporlo al rigido razionalismo e al rigoroso ascetismo del “pensiero del Nord”, quello che per lui ha generato schiavitù e un «mondo d’ombre e di rovine». «La vera passione del ventesimo secolo è stata la servitù»: in questa frase c’è tutto Camus, maestro (senza retorica) di Libertà.