A distanza di quasi quindici anni dai fatti, la Sezione disciplinare del Csm ha disposto ieri la rimozione dalla magistratura per il Pm Alfonso Papa, ex deputato dell’allora Pdl, coinvolto nell’indagine sulla loggia P4 e per il quale la Procura di Napoli nell’estate del 2011 aveva chiesto ed ottenuto l’arresto, ipotizzando anche l’aggravante mafiosa.
Secondo l’accusa, Papa aveva fornito ad alcuni imprenditori delle informazioni, grazie ai suoi rapporti con agenti dei servizi segreti, alti magistrati e esponenti di vertice della guardia di finanza, su indagini in corso nei loro confronti ed anche su misure cautelari ancora da eseguire, ricevendo in cambio somme di denaro e regali lussuosi come orologi Rolex e viaggi. Nell’inchiesta erano coinvolti anche Luigi Bisignani, che poi patteggerà, ed Enrico La Monica, un sottufficiale dei carabinieri in servizio presso la sezione Anticrimine di Napoli, che avrebbero promosso “una associazione per delinquere, organizzata e mantenuta in vita allo scopo di commettere un numero indeterminato di reati contro la pubblica amministrazione e contro l’amministrazione della giustizia”.

Nel 2011 il Parlamento, quarto caso nella storia repubblicana, aveva concesso a sorpresa l’autorizzazione a procedere nei confronti del magistrato. In primo grado, nel 2016, Papa era stato condannato a quattro anni e sei mesi di reclusione per induzione alla concussione. I giudici già all’epoca dichiararono però prescritti diversi reati, assolvendolo comunque da alcuni capi di imputazione. La richiesta dei Pm era stata di otto anni.

Un episodio di istigazione alla corruzione venne contestato nei confronti dell’ex responsabile delle relazioni esterne di Finmeccanica Lorenzo Borgogni. Ad inchiodarlo durante il processo furono proprio gli imprenditori i quali avevano dichiarato che era stato lui a contattarli per informarli che erano nel mirino delle indagini e rischiavano guai con la giustizia. A Papa venne anche contestato di “aver costretto o comunque indotto l’immobiliarista Vittorio Casale a conferirgli beni e utilità vari per un valore pari a migliaia di euro, prospettandogli in cambio una soluzione ai suoi problemi giudiziari”. Secondo l’accusa, Casale, al fine di tutelarsi rispetto all’imminente pericolo di finire in carcere, avrebbe quindi pagato per un paio d’anni l’affitto di un appartamento in via Giulia a Roma, dove Papa viveva con la compagna. Casale sarà arrestato lo stesso nell’ambito di un’inchiesta per bancarotta condotta dalla Procura di Milano.

Lo scorso maggio la Cassazione aveva dichiarato prescritti tutti i reati, facendo così ripartire il disciplinare al Csm nei confronti di Papa il quale in questi anni è stato sospeso dal servizio continuando a prendere parte dello stipendio.
Prima di diventare deputato per il Pdl nel 2008, era stato Pm alla Procura di Napoli, dove svolgeva attività sindacale per la corrente di Unicost. Nel 1999 era stato candidato alla giunta distrettuale dell’Associazione nazionale magistrati e nel 2000 era entrato nella giunta nazionale. Fu anche vicecapo di gabinetto del ministro della Giustizia Roberto Castelli e divenne poi direttore generale degli Affari civili per il Guardasigilli Clemente Mastella. Da parlamentare era stato membro della Commissione giustizia e delle Commissioni parlamentari per la semplificazione e d’inchiesta sul fenomeno della mafia e delle altre associazioni criminali.

“Posso aver commesso delle leggerezze ma non illeciti” aveva detto all’epoca Papa. Rimase celebre una sua lettera al quotidiano il Mattino qualche settimana dopo il suo arresto dove evidenziava “l’incomparabile esperienza umana” che stava vivendo “nel Padiglione Firenze del carcere di Poggioreale”. “Mi stimola – disse – una riflessione che nasce dalla unica esperienza di solidale condivisione cristiana della reciproca sofferenza che trasuda dalle mura sorde di questo luogo dove le sbarre sembrano ricordare a tutti che oltre quel muro vi è comunque un cielo azzurro nel quale specchiarsi”. Parlando della custodia cautelare, Papa affermò: “Le ventidue ore al giorno chiusi in cella sono solo una forma di tortura, neppure velata per l’innocente. Esse sono poi un’espiazione anticipata per il colpevole. Ma la domanda è allora se sia giusto per uno Stato carente nell’eseguire le sentenze di condanna per i colpevoli passati in giudicato pretendere, con i tempi che attualmente ha il processo penale, che il presunto innocente debba invece espiare preventivamente in carcere”. “In questa situazione è allora auspicabile un intervento del Parlamento e della politica, fortunatamente fatta non solo da quegli imbecilli che ci definiscono un albergo a cinque stelle ed ai quali cristianamente auguriamo di non soggiornare mai in alberghi come questo, consapevoli come siamo che, nelle perigliose e imprevedibili onde della vita, un tale approdo potrebbe capitare prima o poi anche a loro”. Parole quanto mai profetiche. L’ultima parola spetterà ora alla Cassazione.