Il grande dissipatore
Altro che mossa del cavallo, Renzi nel campo largo è il ronzino che cerca ricovero: ma può chiedere di crederci solo agli adepti

A Matteo Renzi mi legano stima e persino affetto. Mai ricambiati per la più semplice delle ragioni: non ci conosciamo. Mai incontrati e neppure incrociati. Per parte mia, mai partecipato ad un comizio, mai messo piede alla Leopolda, icona e stigma del renzismo, mai presa una tessera. Eppure, nella moderna agorà fatta di chat e social, agli occhi dell’infinitesima porzione di gente cui interessano le mie opinioni politiche passo sistematicamente per un “renziano”. Più di tutto, “un difensore di Renzi”. Ecco, quest’ultimo ruolo è forse la chiave dell’affetto maturato verso il personaggio. Si finisce per affezionarsi all’oggetto della nostra protezione, per quanto anonima, irrilevante e non richiesta.
Il ragazzo, del resto, è un tipaccio che ha tutto per sollecitare un certo istinto protettivo. Uno che si sottrae ai riti della cooptazione piddina e il potere se lo va a prendere senza attenderlo dai caminetti romani, candidandosi qua e là quando ancora non è previsto sia il suo turno. Uno che scandalizza la sinistra addestrata da bolsi intellettuali e da media militarizzati a combattere la più grottesca guerra civile vissuta da questo paese – la guerra moralistica e antropologica contro Berlusconi e i suoi elettori – proclamando “io lo voglio battere togliendogli i voti”. Uno che sottrae il suo partito all’eterodirezione dei soliti noti e poi, guarda caso, subisce, ad opera del circuito mediatico-giudiziario, una delle più efferate character assassination di questi decenni di politica vile e sottomessa.
Un giocatore cinico, abile, spregiudicato, insomma dotato di tutte le autentiche virtù dell’animale politico, tanto più preziose in epoca di stolta ed ipocrita esaltazione populista di coerenza, trasparenza ed altra pappa del cuore. Un uomo al quale i correnti standard moralistici imputano la recente capacità di arricchirsi, peraltro in modo perfettamente legale, senza cogliere che la grandiosità del personaggio risiede piuttosto nella straordinaria attitudine a dissipare: non soldi, ma talento e consensi.
Sulla scorta di questi peculiari criteri valutativi, ho seguito e difeso negli anni la parabola di Renzi. Posizione disagevole per chi ama il conforto della maggioranza, ma pressoché necessitata per chi scorga nella muta di caccia antirenziana la consueta compagnia di giro politico-mediatico-giudiziaria che da trent’anni bracca l’uomo nero di turno. Certo, ho ritenuto anche di intravedere, negli anni, errori o scelte semplicemente non condivisibili. Beninteso, niente a che vedere con i tradizionali anatemi ideologici provenienti dall’Ufficio Unico Rilascio Patenti di Sinistra. No, roba molto più prosaica, politique politicienne insomma. Nulla, tuttavia, di mai così rovinoso, esiziale come l’ultima scelta in ordine di tempo: il ritorno a casa, l’approdo al campo “che più largo non si può” annunciato nei giorni scorsi.
Beninteso, non è questione di coerenza, che di coerenti sono zeppi i cimiteri, come insegnava Aldous Huxley. Il punto è scomodare, in un’operazione che rasenta la blasfemia, il Pantheon dei “maggiori”, da De Gasperi a Blair, per una manovra politica caratterizzata non già dall’allegra spregiudicatezza di altre mosse del cavallo, ma dal mesto acconciarsi del ronzino che cerca ricovero. Suvvia, caro Renzi, “voglio fare l’ala blairiana del centrosinistra” è una cosa che non si può sentire. L’ala blairiana, forti di un risicato 2%, in coalizione con Schlein, Landini, Orlando, Conte, Bonelli e Fratoianni? Con chi celebra un simulacro di unità, prima e più ancora che nell’avversione alle destre, nella “derenzizzazione” del Pd e già si prepara a sottoporre ad umilianti scrutini il Renzi di ritorno? Con le tricoteuses che scendono in piazza per le dimissioni di Toti, con i veteromassimalisti che raccolgono firme contro il Jobs Act, con i putinian-pacifinti che vogliono disarmare l’Ucraina?
È vero che il miglior antidoto al populismo antipolitico è un’adeguata dose di cinismo e qui non sfugge che la politica non vive solo di sangue e merda, ma anche dell’istinto di sopravvivenza di un ceto politico sempre a caccia di scialuppe di salvataggio. Si comprende tutto. Ma Renzi non chieda di credere a ciò a cui egli per primo non crede. Questo lo può chiedere solo agli adepti, quelli che rimangono quando le leadership carismatiche involvono, in misura inversamente proporzionale ai consensi, in sette.
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