Il voto del Parlamento sulla prosecuzione degli aiuti militari all’Ucraina è stata l’apertura del vaso di Pandora in casa del Partito Democratico. Ma, a differenza del mito greco, Elly Schlein non è stata mossa dalla curiosità per scoperchiare il vaso, liberando in tal modo gli spiriti maligni che si riversano tutto d’intorno. No, in questo caso siamo in presenza di un preciso, specifico, articolato obiettivo politico. Perché non è frutto della casualità il fatto che su vicende delicatissime, sulle quali si costruisce una identità di una forza politica prima ancora che una sua capacità di azione di governo, il Pd si spezzi in due tronconi di fatto inconciliabili fra loro. Nel giro di pochi giorni, lo abbiamo visto su quattro questioni centrali, che danno l’idea precisa di una posizione politica: sviluppo, giustizia, Europa, politica estera. Si è iniziato sull’energia, con il “nuovo Pd” di Elly tutto impegnato a smentire sulla vicenda della fine del mercato cosiddetto “tutelato” il Pd di governo precedente: mentre Draghi – e il Pd – avevano votato di superare dal 2024 questo blocco, il nuovo corso – pur di fare il gioco dello specchio riflesso con la Meloni – si è schierata platealmente contro.

Si è proseguito sulla riforma del patto di stabilità, chiuso in Europa da un certo signore che si chiama Paolo Gentiloni che evidentemente deve essere un’altra persona per la segretaria del Pd che ha cannoneggiato a pieni polmoni contro il ritorno dell’austerità. Si è continuato con la vicenda dell’abolizione del reato di abuso d’ufficio, da anni richiesta ad ogni piè sospinto dei sindaci e degli amministratori democratici, che però hanno lo stigma agli occhi del Nazareno di essere eccessivamente riformisti, che per i nuovi inquilini di casa Pd è sinonimo di “destrorsi”. E così fuoco a volontà contro la riforma dell’abuso di ufficio, con buona pace dei vari Ricci, Nardella, Gori, Decaro, Bonaccini e – ovviamente e soprattutto – De Luca.

E si è arrivati, dopo questa cavalcata massimalista delle valchirie Dem, al piatto forte della settimana: il “neneismo” sull’Ucraina. Alla stretta finale, dopo mesi di dichiarazioni di prammatica, fatte con le labbra ma non con il cuore come ha notato Lia Quartapelle, frutto della sintesi scritta sul “gobbo” ma non della elaborazione politica sincera e compiuta, quando si è trattato di votare la risoluzione che impegna il governo su proseguire il sostegno della resistenza ucraina all’invasore e aggressore imperialista russo, si è alla fine arrivati a gettare la spugna. Astensione. Né di qui, né di là. Per non scontentare Conte, salito sulle barricate di un cinico e spregiudicato utilizzo del pacifismo in chiave anti americana, e per mantenersi gloriosamente intestata l’aura di assoluta non compromissione con la destra di governo, alla fine si è fatto l’assist più clamoroso a Giorgia Meloni. Nello stesso giorno in cui si è scoperto che Trump -da presidente in carica – aveva promesso di non difendere l’Europa da Putin. Il tema è delicatissimo, perché è sulla politica estera che si gioca la credibilità di una azione di governo e delle rispettive leadership.

Per capirci, l’Ulivo nacque quando il PDS di D’Alema accettò senza tentennamenti le posizioni atlantiche di Andreatta e Prodi sulla crisi dei Balcani della metà degli anni ‘90, e lo stesso D’Alema non ebbe esitazioni ad autorizzare da Presidente del Consiglio il decollo degli F-15E che dalla base di Aviano volavano a bombardare Belgrado per mettere fine alla dittatura di Milosevic e al genocidio nei Balcani. Oggi quella stagione viene archiviata, e bollata con ignominia a sinistra. Ora, chi scrive potrebbe semplicemente chiuderla qui dicendo che sul piano personale questa deriva – per rubare il frasario a Elly – l’aveva vista subito arrivare, e quindi ha fatto scelte conseguenti (e coerenti con la propria storia personale e politica nonché con gli impegni assunti in campagna elettorale, e oggi sbugiardati dal Nazareno a proposito di quelli che fanno la morale sul rispetto degli elettori).

Ma, ovviamente, il tema va ben oltre le questioni politiche legate alle posizioni personali. Il “vaso di Pandora” schleiniano semplicemente è la conferma che la strategia del Nazareno ha reso incompatibile la sintesi e il compromesso tra l’ala riformista (di origine soprattutto cattolico popolare e liberal-democratica) e la cultura socialdemocratica su cui è nata e si è retta l’esperienza del Pd. Entrambe le culture vengono soppiantate, scientemente, e silenziate dalla volontà di affermare una nuova politica di stampo populista, tesa disperatamente alla rincorsa dei 5 stelle che naturalmente se ne guardano bene dal lasciarsi irretire e rilanciano nel solco della più tradizionale dinamica massimalista del “più uno”.
In un partito, quando non si condividono le idee di fondo in politica estera, Europa, giustizia e sviluppo si devono tirare delle conclusioni. Perché queste sono il fondamento di una azione di governo, la struttura sulla quale di costruire un mastice di coalizione. Che infatti oggi non c’è, perché il Pd si ostina nella sua funzione di nuovo impero ottomano della politica italiana che tiene tutto congelato, tutto irriformabile, tutto in dinamica conservatrice per evitare di affrontare l’appuntamento con l’inevitabile redde rationem che prima o poi la Storia gli porrà.

In questo modo, Elly Schlein sta producendo tre effetti. Primo, regala assist gratuiti a Giorgia Meloni che incassa ringraziando (vedi la vicenda grottesca del confronto Tv messo in piedi per cercarsi lo sparring partner adeguato per poter vincere sempre). Secondo: impedisce alla sinistra socialdemocratica e al centrismo riformista di evolvere finalmente in maniera autonoma, contribuendo in tal modo alla costruzione di una reale alternativa ad una destra nazional-sovranista che si appresta a silenziare le residuali voci di moderatismo nella coalizione di governo. Terzo: apre un’autostrada a Giuseppe Conte, che non vede l’ora di superare il Pd alle elezioni europee per tornare ai fasti del “fortissimo punto di riferimento dei progressisti”. Sarebbe il caso che gli amici riformisti del Pd fossero coerenti con il nome che si sono dati, e sprigionassero davvero la loro energia se vogliono dare una prospettiva popolare alla politica di un nuovo centrosinistra. Diversamente, il rischio della figura della “mosca cocchiera” di carducciana memoria, con relativi approfondimenti gramsciani e togliattiani, è dietro l’angolo. Coraggio, amici, lo dico per esperienza provata: si può fare!