Big bang regionali. Rischia di implodere il centrodestra, mentre il Campo largo non riesce a trovare uno schema in tutti i territori che andranno al voto quest’anno. Con il Pd che insegue il M5S di Giuseppe Conte. Dati gli ultimi sviluppi, potenzialmente clamorosi, è doveroso partire dalla maggioranza. La cronaca della giornata di ieri ci parla di due vertici informali tra i leader della coalizione. Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani si vedono prima in mattinata a Palazzo Chigi. Bocche cucite, nessuna novità, né passi in avanti rispetto allo stallo che si era registrato mercoledì. Anzi, i principali esponenti dei tre partiti di governo rilanciano e rimangono sulle loro posizioni.

Anche se un parlamentare di vertice della Lega con Il Riformista prova a essere ottimista: “Non penso che possa saltare tutto per via della Sardegna, con tutto il rispetto”. Fiducia di prammatica viene espressa anche da altre fonti della Lega e dal capogruppo di FdI alla Camera Tommaso Foti. Intanto il Carroccio, Forza Italia e Fratelli d’Italia continuano a guardarsi in cagnesco. I tre leader si rivedono a pranzo, ancora una volta a Palazzo Chigi. Nulla filtra, ma Tajani abbandona la riunione prima di Salvini. Il segretario della Lega, dopo il fuoco e le fiamme degli scorsi giorni, si intrattiene con la premier. Anche il leader di Forza Italia vede separatamente Meloni. Ma Palazzo Chigi e la Lega smentiscono: “Nessun incontro sulle regionali ma una riunione allargata sull’immigrazione a cui hanno partecipato anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi”.

Un salviniano di rango espone la posizione del suo partito su un divanetto del Transatlantico di Montecitorio: “I rapporti di forza devono essere rispettati al governo e in Parlamento, non sui territori. Detto ciò Meloni deve diventare la leader della coalizione, non limitarsi a fare il segretario di partito”. Nella Lega è molto in voga la nostalgia per i tempi di Silvio Berlusconi, che “ci consentiva di governare le regioni del Nord anche quando aveva il triplo dei nostri voti”. “Noi riteniamo che cambiare un presidente, in questo caso il presidente della Sardegna, che per cinque anni ha governato bene non so se poi sarà apprezzato dai sardi nel voto delle Regionali. Quello che temiamo è che un cambio in corsa di un candidato presidente rischi di allontanare l’elettorato”, spiega il viceministro alle Infrastrutture e ai Trasporti Edoardo Rixi.

Per la Lega la battaglia campale è sulla Sardegna, dove Salvini punta alla riconferma dell’uscente Christian Solinas. FdI, al contrario, insiste sul sindaco di Cagliari Paolo Truzzu. “Il nostro candidato è Truzzu, francamente non capisco l’insistenza di Salvini su Solinas, che è ultimo nella graduatoria dei governatori più amati”, riflette un deputato sardo del partito di Meloni. “Noi siamo per la conferma degli uscenti”, è la linea del segretario della Lega, ribadita in mattinata ai suoi parlamentari prima di incontrare Tajani e Meloni. La convinzione è che alla fine un accordo sarà trovato, ma ancora non si capisce come. I leghisti offrono a FdI i candidati nelle regioni che andranno al voto 2025, ora in mano al centrosinistra, ovvero Toscana, Emilia-Romagna, Campania e Puglia. Da Via della Scrofa invitano a non correre e a pensare al 2024, quindi alla Sardegna, all’Abruzzo, alla Basilicata e all’Umbria. Meloni teme che lo scontro sulle regionali sia solo l’antipasto di un lungo percorso di destabilizzazione inaugurato da Salvini in un anno in cui si vota anche per le europee.

Intanto la Lega getta il cuore oltre l’ostacolo e presenta in Parlamento la proposta di legge sul terzo mandato ai governatori. Un blitz per blindare il presidente del Veneto Luca Zaia. Il “doge” l’anno prossimo in realtà correrebbe per un quarto giro. Infatti nella pdl è specificato che il conteggio dei mandati parte dal 2012. Da FdI e Forza Italia rispondono con il gelo. Mentre Tajani in serata prova a stemperare la tensione: “Si farà un vertice a tre se serve, io sono ottimista”. Nel risiko entra anche la Basilicata. Tajani difende l’uscente Vito Bardi: “Nessuno lo ha mai messo in discussione, per noi è l’unico candidato possibile”. Salvini è pronto a lanciare l’ex senatore Pasquale Pepe e FdI è ancora tentata dall’ipotesi di un “civico”, che potrebbe essere il presidente della Confindustria lucana Francesco Somma.

Se Atene piange, Sparta non ride. Il campo largo, di fatto, non esiste. Soltanto in Abruzzo si profila un accordo larghissimo sul nome del rettore dell’università di Teramo Luciano D’Amico, con una coalizione che potrebbe comprendere Azione, Iv, Pd, M5S e liste civiche. C’è un caso Sardegna anche nel centrosinistra. La candidatura della grillina Alessandra Todde ha spaccato il Pd. Una parte dei dem sosterrà l’ex governatore Renato Soru, un’altra seguirà Elly Schlein nella sua impresa a ruota dei Cinque Stelle. Stallo, invece, in Basilicata e Piemonte. Il Pd lucano ha indicato un civico, l’imprenditore Angelo Chiorazzo. Una soluzione non gradita al M5S, con i dem che hanno aperto all’ipotesi delle primarie di coalizione. “Il problema è che Roberto Speranza vuole solo Chiorazzo”, annota un deputato grillino eletto in Basilicata. In Piemonte è tutto fermo. Si susseguono i vertici e fioccano i nomi. Dalla fedelissima di Schlein Chiara Gribaudo al vice presidente dem del consiglio regionale Daniele Valle. Per tentare di tenere dentro il M5S si vagliano anche candidati civici come il rettore del Politecnico di Torino Guido Saracco e il presidente dell’Ordine dei Medici Guido Giustetto. In piedi la strada delle primarie di coalizione. Ma il campo largo e i dem esplodono anche sull’abuso d’ufficio. Dopo le proteste dei sindaci sulla contrarietà di Schlein all’abrogazione del reato, si fa sentire il deputato Piero De Luca, figlio del governatore della Campania Vincenzo. “Il Pd sbaglia ad attaccare i sindaci, serve una revisione organica”, è l’obiezione di De Luca.