Il Pd alla Camera fa la voce grossa sulla manovra, che definisce con tre i – con le parole del deputato dem Roberto Morassut – «ingiusta, inadeguata e inefficace». E guarda ai banchi semi deserti della maggioranza, fingendo di non vedere le tante assenze tra le sue fila. Lo sfilacciamento in casa Dem non è solo natalizio. Al Nazareno la segreteria prova a mettere in fila i nomi che dovranno iniziare, sin dalla ripresa di gennaio, a scaldarsi a bordo campo. Le elezioni regionali sono alle porte, le liste in alcuni casi vanno presentate entro venti giorni e i territori in rivolta non tengono più.

Dall’Umbria al Piemonte, dall’Abruzzo alla Sardegna le incognite rimangono tali. Sabato a Cagliari si prepara una conferenza stampa clamorosa, con numerosi esponenti dem sardi che annunceranno di uscire dal partito in segno di protesta per la candidatura paracadutata da Roma della 5S Alessandra Todde. In Abruzzo, dove la giunta guidata da FdI ha fissato la data delle elezioni per il 10 marzo, il Pd regionale ha chiesto la possibilità di spostarle a giugno, formalmente per accorparle con le Europee, in realtà per prendere il tempo necessario a trovare la quadra per le candidature. In Umbria si sarebbe tentata perfino una cordata Pd-Bandecchi, contro la quale sono insorti, scandalizzati, Bonelli e Fratoianni. Quando la direzione nazionale vacilla, la periferia sbanda.

Sono cinque le regioni, sei i capoluoghi di Regione – tra cui Firenze – e 3700 in tutto i Comuni in cui il Pd deve scegliere se fare la stampella di Giuseppe Conte o correre da solo. E se per il M5S è certo che Conte non si candiderà al Parlamento Europeo, mettendo l’ex presidente Inps Pasquale Tridico in pole position, Elly Schlein non ha sciolto la riserva su se stessa: non sa ancora se correrà da capolista. Lo farebbe – viene fatto capire – solo se Giorgia Meloni decidesse di fare la capolista di FdI. A quel punto il Pd sarebbe costretto a mettere in pista la sua leader, al suo primo vero test elettorale nazionale. La strategia Dem deriva dunque da quelle che saranno le scelte degli avversari.

Fino ad allora l’idea è quella di candidare come teste di lista i big uscenti dai ruoli amministrativi: l’ex governatore del Lazio (ed ex segretario) Nicola Zingaretti, il governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, il sindaco uscente di Firenze Dario Nardella, quello di Pesaro, Matteo Ricci e quello di Bari, Antonio Decaro avrebbero già il trolley pronto per Bruxelles. E poi Giorgio Gori, Pierfrancesco Maran, Brando Benifei. Con tanti saluti alla lotta al patriarcato, a meno che agli uomini non vengano alternate donne di stretta osservanza schleiniana. Una misura che la segretaria adotterebbe anche per sedare il malcontento delle dirigenti: ad una recente riunione della conferenza delle donne democratiche molte hanno fatto notare che la discrepanza tra il dire e il fare, in fatto di seggi per le Dem, rimane un divario da colmare. Schlein ricorrerebbe dunque a soluzioni-tampone come quella del Nord-Est, dove la triade di punta sarebbe composta da Elisabetta Gualmini, Alessandra Moretti e Alessandro Zan.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.