BLOG

Fine vita, teologia, esseri umani, animali e guazzabuglio

Giornalista e saggista
Fine vita, teologia, esseri umani, animali e guazzabuglio

Anche l’autorevole (?) rivista teologica Concilium, nel suo ultimo numero, si occupa del controverso e importantissimo tema del fine vita. Con il titolo “La fine della vita: dare un senso alla nostra finitudine”, teologi cattolici, protestanti, ebrei, cercano di dirimere una controversa questione. Purtroppo non ci riescono.

Il primo testo, dell’anglicano Douglas Davis, passa in rassegna, a partire dal Regno Unito, i cambiamenti sopravvenuti in un secolo, con l’aumento delle cremazioni rispetto alle sepolture, e le forme innovative di funerali. E fin  qui è anche interessante. Il teologo Dietmar Mieth illustra la dimensione “comunitaria” della fine della vita come emerge dalla Bibbia. Il teologo battista Kris Chong (Singapore) analizza la mentalità orientale come si evidenzia in due film (due!!!). Molto convincenti i due distinti articoli del teologo gesuita Andrea Vicini (tra l’altro laureato in medicina e specializzato in pediatria) e del bioeticista brasiliano Alexandre Martins sulle disparità di assistenza sanitaria nei diversi contesti, il che rende il dibattito europeo-occidentale “roba da ricchi”.  Il teologo Jean-Pierre Wils (Paesi Bassi) mette giù qualche idea sul dibattito sul suicidio assistito/eutanasia in Germania e in Belgio (nel frattempo Spagna e Italia si sono aggiunte, ma certo l’articolo e tutto il numero della rivista è stato deciso molto prima – e dunque arriva già vecchio). Interessante il gesuita Eric Marcelo O. Genilo, dalle Filippine, che spiega come la famiglia, in quel paese, decida tutto nei casi di un parente terminale e apre uno scenario molto interessante sulle differenze di mentalità tra Oriente e Occidente. L’islamista Abdulaziz Sachedina parla delle convinzioni dei musulmani sulla morte. Tuttavia poiché l’Islam non ha un’autorità teologica centrale (come nel cattolicesimo), alla fine si trova tutto e il contrario di tutto. Dall’Argentina Maria Marcela Mazzini prova  a delineare qualche modo per affrontare la fine della vita con le risorse della spiritualità religiosa.

E fin qui nonostante la disomogeneità dei contenuti, possiamo anche accettare il mal di testa conseguente alla lettura di testi tanto disparati.

Alla fine arriva però l’articolo più sorprendente, affidato alla penna della scrittrice e saggista ebrea Tamar Avraham, sul tema “accompagnare alla morte un animale domestico”. La scrittrice parla del suo animale domestico e di come a suo tempo ha rifiutato l’eutanasia per la gatta, accompagnandola alla morte e inserendo l’esperienza nel contesto delle festività religiose ebraiche, che hanno scandito gli ultimi mesi di vita dell’animale.

Intendiamoci: gli animali domestici hanno un ruolo di grande importanza nella vita di tantissime persone e la loro morte è certamente vissuta come una perdita. Non è questo di cui discuto o critico. Critico l’inserimento di un tale argomento, alla fine della trattazione di un tema che riguarda gli esseri umani, dentro una rivista teologica “internazionale” come Concilium.  Il tema del rapporto tra esseri umani, animali (domestici), ambiente, natura, non meriterebbe di meglio?

Con quest’ultimo articolo, a mio avviso, tutto il tema del fine vita viene banalizzato. Il numero della rivista diventa un grande guazzabuglio di teologia, fine vita, esseri umani, film, animali, famiglie (solo nelle Filippine), altre religioni (ma perchè solo l’Islam?) – e per gli animali una analisi “teologica” viene rinviata al 2022. Nel mese di ottobre avremo un numero intero su “animali e teologie”. Staremo a vedere.

E soprattutto tale impostazione amplifica le mancanze del numero in questione. Sul fine-vita, il Magistero cattolico sta registrando diversi accenti e impostazioni e Concilium non se ne accorge. Un esempio: nel 2019 la Pontificia Accademia per la Vita ha promosso e firmato una Dichiarazione comune con ebrei e musulmani. A Concilium non se ne sono accorti, non ne parlano, forse neppure sanno che esiste. Eppure c’è.

E infine: che senso ha nel 2022 una rivista cartacea? Teologi di carta, verrebbe da dire, forse un tantino autoreferenziali? Non sarebbe meglio che una rivista internazionale nata dal Concilio Vaticano II, avesse un suo sito e raccogliesse commenti per aprire dibattiti? Così, invece, abbiamo un gruppo di teologi che si parlano addosso, prendono una prospettiva (senza accorgersi di cosa accade nel frattempo), e il dibattito non c’è, tanto il prossimo numero andrà su tutt’altra strada e così sia. Poi però non bisogna lamentarsi se la teologia ristagna e se le persone non si rivolgono ai teologi per capire qualcosa della loro vita.

SCOPRI TUTTI GLI AUTORI