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Giorgia come Gianfranco: la doppia sfida del leader di FdI

Giornalista, comunicatore, fondatore di Velocitamedia.it
Giorgia come Gianfranco: la doppia sfida del leader di FdI

Corsi e ricorsi storici. Neanche tre lustri più tardi, il maggior partito della Destra italiana si ritrova davanti alla teoria di vichiana memoria. E di fronte a una sfida doppia. “La prima è mantenere oltre le Colonne d’Ercole del 20% un partito con salde radici nella Destra. La seconda è rendere leader del Centrodestra il leader del principale partito di quella coalizione”. Parole e musica di Livio Gigliuto, vicepresidente di Istituto Piepoli.

Dopo la Conferenza Programmatica di fine aprile a Milano, Fratelli d’Italia avrebbe ulteriormente guadagnato nei confronti del Pd di Enrico Letta e nei confronti della Lega di Matteo Salvini, diventando il primo partito italiano e mantenendo salda, di conseguenza, la posizione di primo partito del Centrodestra. La scelta del capoluogo lombardo come sede della conferenza non può essere considerata casuale o, peggio, senza una ratio di base. Ha, piuttosto, una chiarissima connotazione strategica. “Sia Giorgia Meloni che Salvini – spiega Gigliuto – insistono sullo stesso elettorato dal punto di vista dell’orientamento. La differenza è nella dimensione geografica: il segretario della Lega si è, sì, nazionalizzato, ma resta il segretario di un partito nativo del Nord. Proprio quel Nord dove la Meloni, al contrario, ha sempre fatto fatica perché vista come troppo romana e romanizzata. Ha lavorato molto negli ultimi due anni su questo aspetto, anche evitando, ad esempio, di essere percepita come protagonista alle elezioni amministrative della Capitale”.

I risultati sembrano essere positivi, considerando che Fratelli d’Italia pare aver guadagnato quello che la Lega ha perso. Insomma, i due partiti quasi (ma non esattamente) come due vasi comunicanti. L’elettorato leghista ha abbandonato Salvini che ha pagato la scelta “governista” – dettata da ragioni interne -, mentre Fratelli d’Italia sta passando all’incasso dopo scelte di comunicazione strategica piuttosto chiare e poco urlate. “Se si pensa alla guerra, il pensiero della Meloni e, di riflesso, del suo partito, è votato a un protagonismo silenzioso”, afferma Gigliuto. “Il leader di FdI sembra preferire uno sguardo più sul lungo periodo, anziché sul breve. E il risultato, oggi, è che la Meloni ha un gradimento personale del 32%”.

Che non arriva tutto da Destra, ovviamente. “Vero. Ma rispetto a prima, in questa percentuale c’è meno elettorato di sinistra e più di Centrodestra”. E qual è la ragione? “L’elettorato di sinistra comincia a vederla come il vero avversario, ruolo che prima era occupato da Salvini, il quale invece ha ora subìto la ‘normalizzazione’ della Lega: il Carroccio non è in declino, si è normalizzato, come avvenuto in passato al Pd e al M5S”. In tutto questo, l’incognita del futuro. “Un’incognita non da poco. La Meloni si trova nella posizione in cui oltre un decennio fa si ritrovò Fini, e deve rispondere alla domanda delle domande: cosa sarà del più grande italiano, del partito di Destra che nella storia ha raggiunto il maggior consenso (seppure ancora su carta)? La risposta – conclude il vicepresidente di Istituto Piepoli – sarebbe quella di diventare leader della coalizione. Ma la sua figura sembra perennemente messa in discussione nello stesso Centrodestra, forse per timore che possa ostacolare l’afflusso di voti dal Centro”.