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Ha ancora senso festeggiare l’8 Marzo?

A cosa serve l’8 marzo?

Ha ancora senso festeggiare l’8 marzo? La domanda non è peregrina, perché, negli anni, la composizione sociale è parecchio mutata.

Oggi sono gli anni del genitore 1 e genitore 2, dell’asterisco * indeterminativo, della Rowling, insomma delle infinite declinazioni di genere, all’interno delle quali le donne sono una delle numerose varianti. Se vi inseriamo anche le varianti legate all’identità, la tabella inizia a presentare parecchi incroci. Questo pone qualche problema, perché il femminismo – in un insieme allargato di variabili – da pulsione progressista, potrebbe trasformarsi in movimento di conservazione. Un po’ come quando si dice che i sindacati servono a proteggere le classi di lavoratori privilegiate.

Eppure, in questo 8 marzo pandemico, in cui le mimose assumono un colore arancione rafforzato, mi sovvengono alcune immagini, cui in tanti abbiamo assistito la scorsa settimana.

Sto parlando di Sanremo. Come sapete, Francesca Michielin e Fedez presentano una canzone. Lei bravissima, tecnicissima, preparatissima. Lui, eufemisticamente, molto meno.

Si tratta di una situazione abbastanza ricorrente in tutto il Festival: l’uomo può permettersi di essere un po’ cazzone, espressione colorita per descrivere il cantautore 2.0, trasandato, trascurato, un po’ barbuto, trasognante e stralunato. La donna invece no. In qualunque caso, la donna che si esibisce sul palco dell’Ariston deve saper cantare.

Una tempo era richiesta anche la bella presenza. Oggi, tutto sommato, ancora, ma in modo meno evidente. Però, in ogni caso, la cantante sanremese deve avere voce, tecnica, personalità. La cantautrice, nell’era dei talent, non sembra essere ammessa. Bene Fulminacci, ma la Fulminaccia non c’è.

Trascuro le solite considerazioni su botox e chirurgie varie (la trasfigurazione è inevitabile per Ornella Vanoni, ma non per Gino Paoli: invecchiare è un diritto squisitamente maschile), trascuro il ruolo di presentatori e presentatrici (non ci si discosta dal modello matador-valletta), però, da appassionato di musica, mi tocca dire che una Achille Laura non è ammessa. L’uomo, glam, sbarazzino, serioso, ridanciano, può essere stonato. Perché è uomo. Dunque è intelligente e se lo può permettere. La donna, glam, sbarazzina, seriosa, ridanciana, non può essere stonata. Perché è un gradino al di sotto. E, certamente, può esibirsi anche al cospetto di uomini (le apparenze), ma è un’osservata speciale. Direttora, direttrice, direttore, non importa. Sotto osservazione, soggetta all’approvazione. Non c’è assegno in bianco.

Ecco che, tornando al quesito iniziale, rimane ancora molto importante festeggiare l’8 marzo. Lo farò rivedendo per la centocinquantesima volta “Il corpo delle donne” di Lorella Zanardo, che, nonostante gli anni e i mutamenti, si conferma un documentario drammaticamente intenso e attuale.