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I ciechi e l’elefante: i diversi punti di vista europei sull’alleanza transatlantica

Consulente aziendale, appassionato di politica estera
I ciechi e l’elefante: i diversi punti di vista europei sull’alleanza transatlantica

Visto che, tra qualche settimana, anche la politica estera americana andrà alle urne, sono in molti a chiedersi se gli Stati Uniti possano davvero tornare, se Joe Biden dovesse vincere, alla relazione con il mondo precedente all’era Trump.In un saggio su Foreign Affairs, Rebecca Lissner e Mira Rapp-Hopper sostengono che tornare indietro non si può: nuove minacce come quella alla sicurezza informatica richiedono nuove istituzioni e, se Trump dovesse perdere, gli Stati Uniti dovrebbero cogliere l’inaspettata (e temporanea) finestra di opportunità per plasmare un ordine mondiale aggiornato, dal momento che quello vecchio non c’è più.

Anche l’Europa potrebbe volere cambiare, in ogni caso, la sua relazione con gli Stati Uniti. Si sa che, come cantava Venditti, «certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano», ma in diverse occasioni i leader europei hanno espresso la speranza che, se Trump dovesse vincere, ciò renderebbe (se non altro) gli stati membri più disponibili a trasformare la UE in una effettiva potenza geopolitica. In altre parole, Trump diventerebbe un fattore unificante per gli europei. Ma stando ai risultati dell’inchiesta condotta dall’European Council on Foreign Relations, si tratta di una speranza quantomeno prematura.

Da quando Donald Trump è diventato presidente degli Stati Uniti, ha scritto Jana Puglierin sul sito dell’ECFR, l’approccio alle relazioni transatlantiche somiglia molto a quello del gruppo di ciechi di una famosa parabola indiana che incontra per la prima volta un elefante. Cercando di descrivere la strana creatura, ciascuno di loro tocca una parte diversa dell’animale: uno tasta la proboscide, un’altro la gamba, un terzo il suo enorme fianco. Quando confrontano le impressioni, sembrano descrivere animali completamente diversi. «La morale della storia è chiara: spesso giudichiamo le cose in base alle nostra prospettiva e alla nostra esperienza soggettiva».

Jana Puglierin racconta che nelle sue conversazioni con i diplomatici francesi, il più delle volte questi accostano Trump all’ultimo chiodo sulla bara dell’alleanza transatlantica (poiché ha messo in discussione le garanzie di sicurezza americane e condotto la Nato alla «morte cerebrale») e che, invece, gli esperti di sicurezza polacchi o degli stati baltici sottolineano quanto si sentano più sicuri dalla sua elezione, e quanto credibilmente gli americani abbiano rassicurato gli alleati e i partner della Nato del fianco orientale. «Sembra – scrive Puglierin – che gli alleati europei degli Stati Uniti abbiano trascorso quattro anni in due realtà parallele».

Finora, queste diverse percezioni hanno avuto un impatto limitato sulla politica europea. I capi di stato e di governo europei hanno ripetutamente sottolineato che gli europei devono finalmente prendere il destino nelle loro mani, ma non hanno adottato misure conseguenti. Hanno parlato molto di rafforzare le capacità di difesa della Ue all’interno della Permanent Structured Cooperation (un’iniziativa nell’ambito della Politica di sicurezza e di difesa comune volta all’integrazione strutturale delle forze armate di 25 dei 27 stati membri) e dell’European Defence Fund (un fondo gestito dalla Ue per coordinare e accrescere gli investimenti nazionali nella ricerca per la difesa e per aumentare l’interoperabilità tra le forze armate dei diversi stati membri) ma non hanno assicurato i fondi necessari per farla decollare davvero. «In pratica, l’Europa rimane dipendente come sempre dalle prestazioni americane”.

Inoltre, sebbene i leader europei sottolineano spesso che non si tornerà alla «normalità» sotto una presidenza Biden e che gli europei devono fare di più da soli indipendentemente da chi sarà il prossimo presidente, hanno punti di vista molto diversi su come le relazioni transatlantiche saranno influenzate da chi vincerà le elezioni. Per coglierne le implicazioni, l‘European Council on Foreign Relations ha condotto una ricerca intervistando esperti ed esaminando piattaforme di partito in tutta Europa. Si tratta di ampliare il legame strategico della UE con gli Stati Uniti oltre il tema della sicurezza? Di mantenere il legame strategico con gli Stati Uniti centrandolo unicamente sulla sicurezza? Di mantenere buone relazioni con gli Stati Uniti preparandosi al divorzio inevitabile? O, ancora, di posizionare l’Europa come terza forza tra gli Stati Uniti e la Cina?

Stando all’indagine, se Trump dovesse perdere la maggior parte dei paesi UE sono interessati ad ampliare i legami strategici con l’America di Biden al di là della cooperazione in materia di sicurezza. Gli ultimi quattro anni non hanno condotto ad un allontanamento definitivo ed il desiderio di cooperare con gli Stati Uniti sembra più forte dello shock degli anni di Trump. I leader europei credono ancora nell’America   (tuttavia, gli elettori europei sempre meno). Il risultato può essere letto come un impegno europeo verso una più stretta cooperazione  transatlantica su questioni come la Cina, il clima, il digitale. O può essere l’espressione del desiderio di restaurare lo status quo ante che quasi tutti gli europei dicono sia finito per sempre. Francia, Germania e Malta vedono la necessità di prepararsi comunque, nel lungo periodo, al distacco dagli Stati Uniti.

Sembra tuttavia che, con Joe Biden alla Casa Bianca, la maggioranza degli europei considerino scontata la presenza in Europa ed il costante interesse dell’America. Perciò, nel caso Biden dovesse vincere, la sfida più grande per gli europei sarà quella di consolidare la spinta verso una politica estera e di sicurezza della UE più dinamica e più efficace. Se invece dovesse rivincere il presidente Trump, le risposte sarebbero differenti in tutto il continente, rispecchiando, come osserva Puglierin, il fatto che i paesi europei hanno reagito a Trump in modo molto diverso tra loro.

Alcuni paesi si prepareranno al graduale distacco degli Stati Uniti dall’Europa e, di conseguenza, spingeranno  probabilmente per una maggiore sovranità europea. Ma i paesi del fianco orientale della Nato (così come la Spagna, il Portogallo, la Grecia e l’Irlanda) proseguiranno nei loro sforzi per ampliare la partnership strategica della UE con gli Stati Uniti. Questi paesi vedono nella presenza americana in Europa una assicurazione sulla vita e potrebbero essere riluttanti ad unirsi alla squadra europea se gli interessi delle due sponde dell’Atlantico dovessero scontrarsi.

Insomma, qualunque sia l’esito finale delle elezioni americane, stando a quanto rileva l’ECFR è difficile sfuggire ad una conclusione: «sarà quasi impossibile unire gli europei come contrappeso agli Stati Uniti».

«Se vincerà Biden- scrive Jana Puglierin – ci sarà ampio spazio per le iniziative europee mirate a rilanciare la relazione transatlantica e a fare dell’Europa un partner degli Stati Uniti più forte e perciò più attraente. Ma gli europei non devono farsi illusioni. Alla fin fine, il coinvolgimento dell’America in Europa sarà deciso esclusivamente da Washington – non a Varsavia, Parigi o Berlino. Come i suoi predecessori, una amministrazione Biden sarebbe ben lieta di porre fine all’eccessiva estensione strategica dell’America e di focalizzarsi di più sugli interessi nazionali. E gli Stati Uniti daranno priorità all’Asia – indipendentemente da chi è il presidente. Come mostrano le conclusioni dell’ECFR, non si può fare a meno di preoccuparsi in merito alla capacità e alla prontezza dell’Europa di fronteggiare le profonde forze strutturali che rimodelleranno la politica americana negli anni che verranno».