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Salvini e il centravanti

Avvocato e scrittore
Salvini e il centravanti

Quante volte succedeva nei campetti di periferia. Era il mantra dello sfigatello. Quello che in genere era il più bravo a scuola (e che non sempre ti passava la copia della versione di greco), era anche il meno scafato, imbranato con le ragazze e soprattutto il più asino a pallone. Il suo destino era la porta che doveva difendere con le ginocchia a x protette da 4 ginocchiere e gli occhiali con la fettuccia. Se andava bene giocava terzino purché stesse sempre vicino alla bandierina del calcio d’angolo.

Ma (e già perché nella vita c’è sempre un “ma” che alla fine rischia di rovinare tutto) era anche  sempre quello che portava il pallone e a volte si rivestiva di carattere e pronunciava la mitica minaccia:” se non gioco centravanti me ne vado e mi porto il pallone a casa”.

La vaga sensazione è che sia quello che sta accadendo nel centrodestra in questi strani giorni di dibattito politico.

E sì strani, davvero strani, perché, a dispetto di ogni procedura e ogni garbo istituzionale, la Meloni si sta muovendo da premier incaricato e anche con una certa frenesia.

E fa niente che ancora è stata formulata la proclamazione degli eletti, fa niente che le camere ancora vengono convocate, fa niente che non ci siano ancora state le consultazioni anche perché, ancora vengono eletti i presidenti di Camera e Senato che sono i primi due a essere consultati, fa niente, infine, che Mattarella ancora non abbia conferito l’incarico al nuovo e futuro Presidente del Consiglio.

In questo quadro anomalo, quanto una giornata calda con 20 gradi a Natale, Salvini fa “lo sfigato del campetto”.

Voglio giocare al “Viminale” è il diktat che parte da via Bellerio, ripetuto con una certa insistenza anche dai suoi supporter.

E se la Meloni non glielo concedesse?

No perché tutto può essere e Giorgia, al di là delle sue idee non sempre condivisibili, il caratterino ce l’ha e pure ben pronunciato.

Ma non è che, forse, questa di Salvini è una tattica fatta apposta? Chiede di giocare al Ministero dell’Interno sapendo che non glielo daranno mai per rompere la coalizione e portarsi il pallone (la maggioranza parlamentare) a casa? Del resto il Matteo “longobardo” ha già dato prova, nel 2018 (governo Conte-Salvini-Di Maio), di tenere più alle tette del Papeete ed ai goal di Leao di quanto tenga alla compattezza del fronte del centrodestra.

Sarebbe un incastro perfetto. Di quelli che vengono fuori solo dalla sua fantasia politicamente perversa. Verrebbe impedita la nascita di un governo destinato a rafforzare a dismisura Fratelli d’Italia ai danni di Lega e Forza Italia, verrebbe creato un governo con una maggioranza talmente anomala e improbabile che lo si potrebbe far cadere al primo sondaggio positivo senza destare scandali, la Lega otterrebbe infine in premio il Viminale e tutto quello che ancora potrebbe desiderare.

E poi e poi “chissà”, cantava Dalla. Chissà se tutto questo trambustoso disegno non faccia piacere a Putin il quale vuole i governi occidentali fragili e traballanti e non certo stabili e consolidati. E già perché, sempre come cantava Dalla,i russi, i russi, gli americani” hanno solo nemici, che più sono vulnerabili e meglio è.

Insomma roba da John Le Carrè.

E così il darsi da fare della Meloni appare sempre più insolito. Responsabilmente sta anticipando il suo lavoro per essere pronta al momento dell’incarico e non impantanarsi in tempi morti di fronte alle urgenze del paese, diranno in molti buttandola sul positivo e vedendo del bicchiere il “mezzo pieno” e non il “mezzo vuoto”.

Potrebbe essere vero. Così come è vero che si muove come parla, in maniera affrettata e con i toni incalzanti di chi vuole mostrare di saper anticipare i concetti per ostentare sicurezza e autorevolezza.

Ma i trappoloni sono dietro l’angolo e c’è sempre un’altra frase, altrettanto mitica, che giunge dall’altro lato dal Tevere.

“Chi entra Papa in conclave ne esce Cardinale.”