CIDA denuncia gravi anomalie nella gestione degli incarichi dirigenziali al Ministero della Cultura. Sullo sfondo la contestata nomina di Brugnoni alla Direzione Generale Cinema e Audiovisivo, che potrebbe non superare il vaglio della Corte dei Conti. Il Ministero della Cultura continua a trovarsi al centro di una bufera amministrativa che sembra non avere fine. Dopo l’interpello per 175 posizioni dirigenziali, la gestione degli incarichi ha generato una vera e propria ondata di critiche.

A sollevarle è stata la CIDA – Confederazione Italiana Dirigenti e Alte Professionalità, che con un duro comunicato ha denunciato disfunzioni, disparità di trattamento e mancanza di trasparenza. Secondo CIDA, il bando presentava “vizi genetici” fin dall’inizio: i dirigenti erano obbligati a indicare cinque preferenze senza possibilità di stabilire un ordine, con il risultato che incarichi poco graditi sono stati imposti a professionisti di ruolo, mentre posizioni più prestigiose sono finite ad altri funzionari, talvolta senza la necessaria qualifica dirigenziale. Inoltre, la legge 104 del 1992 e altri criteri di preferenza previsti per legge non sono stati considerati, privando molti candidati della tutela normativa loro spettante. La confusione non si è fermata qui. Le procedure di formalizzazione degli incarichi sono risultate disomogenee: alcuni Direttori Generali hanno fissato decorrenze immediate, altri hanno subordinato l’efficacia delle nomine alla registrazione della Corte dei Conti. In diversi casi i dirigenti sono stati costretti a trasferimenti improvvisi senza un regolare passaggio di consegne, compromettendo la continuità amministrativa.

In questo scenario già caotico si inserisce un nuovo nodo delicato: la nomina del Direttore Generale Cinema e Audiovisivo. Il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, ha proposto Giorgio Carlo Brugnoni come successore di Nicola Borrelli. Tuttavia, la normativa è chiara: per guidare una Direzione generale è richiesta un’esperienza dirigenziale di almeno cinque anni, requisito che Brugnoni non possiede. Il rischio che la Corte dei Conti respinga la nomina è altissimo. Non sarebbe la prima volta: nel 2022 l’organo di controllo bloccò il tentativo di nominare Stefano Lanna alla Direzione Archivi, costringendo il Ministero a una clamorosa retromarcia. Ripetere oggi lo stesso errore significherebbe non solo danneggiare l’immagine del Ministero, ma anche alimentare la percezione di una gestione poco trasparente, dominata da logiche di spoil system.

Le denunce di CIDA si intrecciano dunque con il caso Brugnoni, dipingendo un quadro preoccupante: un’amministrazione incapace di garantire regole certe e procedure lineari. Il Ministero della Cultura ha il compito di custodire e valorizzare un patrimonio unico al mondo, ma se non riuscirà a ristabilire trasparenza e rigore rischia di minare la propria credibilità. Spetta ora alla Corte dei Conti esercitare il proprio ruolo di garanzia, verificando la legittimità della nomina e rigettando eventuali richieste che non rispettino la legge. Solo così sarà possibile restituire ordine e fiducia in un settore strategico per l’Italia.

Maurizio Pizzuto

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