Per i pm Giovanni Padovani era ossessionato dalla mania di controllo
Chat spiate e il delirio di possesso, le paure di Alessandra: “Temo di scatenare la sua rabbia”
“Tutte le volte in cui io ho accondisceso alle richieste di Padovani è stato per paura di scatenare la sua rabbia”. Sono queste le parole di Alessandra Matteuzzi, 56enne uccisa a Bologna, massacrata con un martello dall’ ex compagno Giovanni Padovani, 26enne originario di Senigallia, in una denuncia fatta ai carabinieri. Dopo le tremende liti avute con l’uomo a giugno aveva avuto paura, tanto da decidere di sporgere denuncia il 29 luglio. Il 23 agosto Padovani era ancora una volta sotto casa sua, l’ha aggredita e uccisa mentre era al telefono con la sorella.
“Alla luce di tutte le occasioni in cui è riuscito ad accedere al condominio dove abito, ho sempre timore di ritrovarmelo davanti ogni volta che torno a casa, o quando apro le finestre”, aggiungeva la donna, come riportato dall’Ansa. Il dramma di Alessandra è stato ricostruito nelle 9 pagine di ordinanza con cui il gip Andrea Salvatore Romito stabilisce la convalida del fermo per Padovani, bloccato sul luogo del delitto mentre aveva ancora in mano il martello con cui si è scagliato sulla donna. “Sin dall’inizio della relazione ha adottato comportamenti frutto di incontenibile desiderio di manipolazione e controllo (su Alessandra, ndr), tradottisi nella progressiva privazione di margini di libertà”, si legge, come riportato dal Corriere della Sera.
Questa mania del controllo Alessandra l’aveva raccontata anche ai carabinieri a cui aveva denunciato di essere controllata costantemente sui social dal compagno. Oltre alle richieste continue di inviargli foto e video per dimostrare dove si trovava. A febbraio aveva anche scoperto che le password dei suoi profili erano state modificate. “Ho potuto constatare – raccontava – che erano state modificate sia le email che le password abbinate ai miei profili, sostituite con indirizzi di posta elettronica e password riconducibili a Padovani”. Inoltre “ho rilevato anche che il mio profilo Whatsapp era collegato a un servizio che consente di visualizzare da un altro dispositivo tutti i messaggi da me inviati. Ne ho quindi dedotto che che nei giorni in cui era stato da me ospitato era riuscito a reperire tutte le mie email e le mie password che avevo memorizzato nel telefono”.
Padovani, calciatore che da giovane ha giocato nelle giovanili del Napoli e in serie D con il Pomigliano, era geloso e convinto che la donna avesse un altro. Raccontava ancora Alessandra ai carabinieri: “Il nostro rapporto si basava sempre sull’invio da parte mia dei video che lui mi aveva chiesto e di videochiamate, ma questo non è bastato a frenare la sua gelosia, perchè i dubbi sulla mia fedeltà non sono mai passati. Anche una semplice foto da me postata sui social e che inquadrava le mie scarpe appoggiate sul cruscotto dell’auto al rientro da una trasferta di lavoro era stata motivo di una sua scenata”.
Nei confronti dell’uomo non erano state disposte misure cautelari. Nella denuncia Alessandra ha riferito dei controlli a cui era sottoposta, delle volte in cui lui si è presentato sotto casa. A parte una volta, in Sicilia, in cui l’aveva spintonata facendola cadere su un letto, non c’erano state mai aggressioni fisiche. Anche a metà luglio, quando i due avevano avuto un riavvicinamento dopo un periodo di crisi: tra il 14 e il 22, metteva a verbale la vittima “è stato più volte aggressivo nei miei confronti, non ha mai usato violenza fisica, sfogando la sua rabbia, sempre dovuta alla gelosia, con pugni sulla porta”.
Nell’ordinanza del gip le ossessioni di Padovani: “un soggetto animato da irrefrenabile delirio di possesso e incapace di accettare le normali dinamiche relazionali… sia di attivare l’ordinario sistema di freni inibitori delle proprie pulsioni aggressive”. Tra le ‘giustificazioni’ fornite dopo l’arresto: “Sospettavo che mi tradisse”. Durante l’udienza si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Stando alla ricostruzione della polizia, riportata nell’ordinanza, il 22 agosto (il giorno prima di uccidere Alessandra) lui le aveva staccato il contatore della luce come aveva già fatto in passato. Una trappola per costringerla a uscire di casa per andare a riattivarlo. Lui era lì, nelle scale, ad attenderla. La loro storia era finita a fine luglio ma lui non si dava pace: voleva convincerla a riprendere la relazione. E intanto continuava a controllare i suoi social.
“E nel periodo della separazione — si legge ancora nell’ordinanza — si sarebbe accorto che lei aveva aggiunto sui suoi profili anche suoi ex compagni di squadra. Per questo pretendeva dei chiarimenti”. Da qui la decisione di abbandonare in fretta e furia la squadra dove giocava in Sicilia, per precipitarsi a Bologna per quello che, nella sua ossessione, doveva essere un incontro per avere spiegazioni. Nelle settimane prima di essere uccisa brutalmente, Alessandra aveva subito numerose vessazioni come “tagliargli i pneumatici o mettere lo zucchero nel serbatoio”.
Nel pomeriggio dello stesso giorno Alessandra, magari per paura o non riuscendo a immaginare altre vie d’uscita alla sua insistenza aveva assecondato la sua richiesta “e trascorrono assieme l’intero pomeriggio”. Lui le chiede anche della denuncia nei suoi confronti. E qui la sorella Stefania rivela forse uno dei dettagli più agghiaccianti: “Mia sorella era stata evasiva – ha detto , come riportato dal Corriere – e lui, a garanzia della sua fedeltà, aveva anche preteso un giuramento sulla tomba di nostro padre, dove si erano recati insieme”.
Tutto sarebbe precipitato l’indomani mattina perché, ha raccontato Padovani, “lei non rispondeva più ai miei messaggi e mi sono sentito usato e manipolato”. Così è ripartito da casa della madre, a Senigallia, “armato di martello”. Perché lo ha portato con sé? “Era per difendermi dal compagno della sorella con il quale in passato aveva avuto dei diverbi”. La sera del delitto, verso le 21.35, lui la affronta appena scesa dall’auto, mentre è al telefono con la sorella. Il medico legale, nell’autopsia, ha accertato che è stata raggiunta da un solo colpo di martello e poi finita a calci e pugni, dopo averle scagliato contro una grossa panchina in ferro.
© Riproduzione riservata







