La scomparsa
Chi era Assunta Almirante, la sacerdotessa della Prima Repubblica morta a 100 anni
Sono certamente intrisi di nostalgia gli omaggi praticamente unanimi, quasi più da parte dei nemici che degli amici, che hanno salutato ieri la scomparsa della centenaria Raffaela Stramandinoli, nata a Catanzaro il 14 luglio 1921, da sempre e per tutti Assunta, dal 1969 in Almirante. Nostalgia per la prima Repubblica però, non per il fascismo che lei, peraltro, trattava con sufficienza, quello vero e quello degli eredi guidati dal marito: “Non sono mai stata fascista e non ho mai abbracciato in toto la cultura del Msi”.
Di destra, questo sì e a viso aperto. Orgogliosamente conservatrice: “Dio patria e famiglia”. Almirantiana sempre e con trasporto ma non al punto di seguire ciecamente. Nel 1974, quando il marito, dicono di malavoglia, schierò il Msi a fianco della Dc nella crociata contro il divorzio, lei si schierò dalla parte opposta. Tra la coerenza alla sua biografia e la ragione di partito, anzi del segretario di partito, scelse la prima. Dal 1952 al 1969 aveva vissuto con il futuro leader del Msi, già coniugato e padre di una figlia. Sposata lo era anche lei, con il marchese De’ Medici e già madre di tre figli. La quarta, Giuliana, figlia di Giorgio, sarebbe nata nel 1959 e il marchese, generoso, avrebbe accettato di darle il nome per non renderla “illegittima”. Per sposarsi, nel 1969, la coppia aveva dovuto ripiegare sul “rito di coscienza”, che consentiva al sacerdote di unire in matrimonio senza tener conto dei vincoli civili. Di più, senza divorzio non si poteva fare.
Di politica Assunta Almirante si è sempre impicciata ma senza mai ammetterlo, almeno fino alla morte del marito nel 1988. Ancora un anno prima, mentre brigava a più non posso per insediare al posto del dimissionario e malato coniuge il protetto Gianfranco Fini, s’infuriava a sentirselo rinfacciare: “Non ho mai sponsorizzato nessuno e non lo farò certo adesso. Anche perché mio marito non si fa portare per mano da nessuno e io non mi sognerei di interferire nelle sue decisioni politiche”. Interferiva invece, ma dietro le quinte. Convincendo. Ricorrendo alla suasion che il ruolo sommato al carattere le consentivano. Anche in questo donna Assunta Almirante era decisamente “prima Repubblica”, un’epoca in cui le mogli incidevano molto più di quanto i leader non fossero disposti ad ammettere ma da casa, esercitando un potere non codificato ma inesorabile. Lei stessa lo ammetteva, ironica solo a metà, quando si definiva “imperatrice madre” del Msi.
Allo scoperto uscì solo dopo la morte del marito, legittimata più dal ruolo di vestale della sua memoria che dall’appartenenza politica propriamente detta. La casa dei Parioli, abitata sino all’ultimo giorno, era quasi un altare: di immagini del marito, fotografato, scolpito o dipinto se ne contavano 34. I cimeli sarebbero bastati a riempire una mostra nella quale avrebbe figurato buona parte della destra europea della seconda metà del secolo. Come sacerdotessa del culto di san Giorgio, quando Pino Rauti spodestò il delfino Gianfranco e lo rimpiazzò alla segreteria, passaggio del resto effimero e fulmineo, l’agguerrita calabrese, tanto determinata che il marito la chiamava scherzosamente “il mio Adolf”, chiamò alle armi il popolo missino, minacciò di invocare l’occupazione delle sezioni provocando le comprensibili ire dell’usurpatore.
Eppure nessuno meritò i suoi strali e fu da quelli più bersagliato dell’un tempo protetto numero uno, Gianfranco “il traditore”. Tradimento nei confronti del partito che nel 1994 sciolse per ribattezzarlo Alleanza nazionale, certo, ma soprattutto tradimento nei confronti di suo marito, rinnegato nel 1994 dall’erede e con lui da tutti “quei giovani che hanno oggi il potere grazie a Giorgio, che hanno avuto tutto dal partito e ci sputano sopra, vogliono liquidarlo . Pensare che Giorgio li ha allevati, li ha cresciuti, ha dato loro un patrimonio morale”.
Fu la sola la prima delle molte delusioni che il delfino le diede. Poi arrivarono la sfortunatissima alleanza con Segni, e quella volta non se la sentì di votare per l’Asinello a metà con Mariotto, anzì minacciò persino, massima bestemmia “di votare per la sinistra”. Poi lo storico viaggio in Israele che le andò più che mai di traverso: “Qualsiasi cosa gli avessero chiesto avrebbe detto sì. Avrebbe rinnegato Salò, Mussolini e persino…”. Persino Almirante intendeva dire anche se di fronte al cronista del Corriere che ne registrava lo sdegno il nome non riuscì a pronunciarlo. Per un attimo donna Assunta fu tentata di scendere in campo in prima persona, anche candidandosi in nome di un partito “fondato sui valori di Almirante”.
Ma il sempre più ostentato disprezzo per la generazione opportunista, disinvolta e cinica di cui vedeva in Fini il rappresentante più subdolo e deludente non derivava dal culto per il regime ma dal rispetto, certo ammantato di ricordi nostalgici, per la Repubblica della quale il marito era stato a modo suo uno dei protagonisti. Per Nilde Iotti, l’ “irripetibile”. Per il sempre rispettato (anche da Giorgio Almirante) Enrico Berlinguer, per Bettino Craxi, il preferito: “Uomini come loro non ne nascono più”. Raffaella Assunta Stramandinoli Almirante era una donna della prima Repubblica e attraverso il culto per suo marito Giorgio aveva finito per diventare a modo suo una sacerdotessa di quella Repubblica. Chi ieri la ha salutata commossa, salutava con lei anche quello che in fondo tutti considerano, da ogni punto di vista ma soprattutto in politica, un tempo migliore.
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