Le analisi più recenti sull’andamento della ricchezza mostrano come, dopo un calo nel 2022, nel 2024 la ricchezza globale ha continuato a crescere per il secondo anno di fila e come questa tendenza sembra proseguire anche nel 2025. Dall’inizio del millennio vi è stato un aumento marcato e costante della ricchezza in tutto il mondo. La fascia di ricchezza più bassa, vale a dire quella da zero a 10.000 dollari, continua a perdere componenti anno dopo anno ed abbiamo di conseguenza un calo numerico della parte più povera della popolazione mondiale. L’aumento della ricchezza è tuttavia diseguale dentro e tra le nazioni, tuttavia se da un lato aumenta la distanza tra i patrimoni dei ceti più ricchi e quelli dei ceti più poveri, sia la crescita media che quella mediana dei redditi avanza nella maggior parte delle nazioni, segnalando un aumento proporzionale nel potere d’acquisto anche nelle fasce più povere della popolazione.

L’andamento della ricchezza globale

Nel complesso, la ricchezza totale al netto del debito e dell’inflazione dall’anno 2000 in poi è aumentata ad un tasso di crescita annuale del 3,4%. Si prevede che questa dinamica continuerà per tutta la seconda metà del decennio attuale, anche se non in modo uniforme. Complessivamente, si stima che altri 5,34 milioni di persone entrino a far parte dei milionari in dollari del mondo entro il 2029, pari ad un aumento intorno al 9%. Nel corso del 2024 la ricchezza media per adulto in Italia, è aumentata del 3,81% al netto dell’inflazione. La ricchezza mediana, misurata negli stessi termini, è addirittura salita del 15%, una delle performance migliori a livello globale, che mostra anche una migliore ricaduta della crescita della ricchezza sulla sua distribuzione sociale. Secondo il Global Wealth Report, l’analisi annuale curata dal colosso bancario UBS, il divario tra valori medi e mediani in Italia indica che le fasce patrimoniali medie si siano avvalse in questi ultimi mesi di una crescita della ricchezza ben più rapida delle fasce con patrimoni più alti.

Se consideriamo la composizione della ricchezza degli italiani, i valori finanziari rappresentano poco meno del 46% del patrimonio lordo complessivo. I valori non finanziari (immobili e terreni) rappresentano poco meno del 62%, mentre i debiti ammontano al 7,6%, un valore estremamente basso nel confronto internazionale. Se consideriamo il confronto con gli altri paesi in Italia la quota finanziaria dei patrimoni è negli anni aumentata, ponendosi vicina a quella di paesi come la Francia e le Germania, mentre negli altri paesi del Mediterraneo la ricchezza non finanziaria resta prevalente e più elevata. L’Italia occupa il 23esimo posto su 56 Paesi della classifica della ricchezza media per adulto misurata in dollari, dopo la Spagna e davanti al Giappone, ma raggiunge il 14esimo posto nella classifica della ricchezza mediana, e si colloca davanti agli Stati Uniti, alla Germania e a Singapore. A fine 2024 l’Italia conta poco più di 1,3 milioni di milionari in dollari, un numero significativo che la posiziona tra le prime nazioni al mondo per numero di milionari.

Figura 1 Valori finanziari, non finanziari e debiti degli italiani

Il paradiso fiscale delle successioni

La consistenza significativa del patrimonio degli italiani impatta anche sull’andamento demografico, in quanto le nuove generazioni di italiani sono destinatarie di una quota di risorse patrimoniali molto maggiore rispetto ai loro coetanei delle altre nazioni più industrializzate per via della combinazione della loro minore consistenza numerica e dell’indubbio vantaggio della legislazione sulle successioni. Questo fenomeno porterà nei prossimi anni ad effetti sociali ed economici importanti. Nel corso dei prossimi due decenni Il Global Wealth Report stima che l’Italia assisterà ad un’impennata dei patrimoni trasferiti tra le generazioni nonché all’interno della stessa generazione (da coniuge a vedova/o) per un totale di oltre 2.300 miliardi di euro, pari ad oltre un quinto dell’intero patrimonio privato del Paese e pari al doppio della somma prevista per esempio da una nazione come il Giappone, che ha una speranza di vita simile, ma il doppio della popolazione italiana.

Secondo questa stima nei prossimi vent’anni in Italia avremo un trasferimento di patrimonio verticale, ossia tra le generazioni, intorno ai 120 miliardi annui. Secondo altri rapporti di ricerca ed analisi, tra cui le stime dell’Istat, questa somma è ancora maggiore e potrebbe arrivare nel prossimo ventennio a superare i 3200 miliardi di euro, con un trasferimento verticale di patrimonio stimato in circa 160 miliardi annui. E’ un fenomeno enorme, di portata storica: la generazione più ricca e numerosa della storia italiana, che ha portato l’Italia ad essere oggi il settimo paese al mondo per ricchezza privata totale (16mila miliardi di dollari nel 2023), ha iniziato a trasferire il proprio patrimonio alle generazioni successive, di consistenza meno numerosa.

Figura 2 Stima dei trasferimenti dei patrimoni nei prossimi 20 anni in Italia

Tuttavia questo passaggio, che è destinato ad arricchire milioni di italiani, rischia di non determinare nessun significativo effetto di beneficio sui conti pubblici in quanto la legislazione fiscale italiana è particolarmente vantaggiosa nei passaggi dell’asse ereditario, in ragione di due aspetti: la franchigia, ossia l’esenzione totale dall’imposta, è fissata alla cifra di un milione di euro di patrimonio trasferito, molto più alta di quella presente nella normativa fiscale delle altre nazioni sviluppate, e l’aliquota successiva media è del 4 per cento, anche in questo caso decisamente più favorevole rispetto a quanto avviene nelle altre nazioni. In ogni caso la stragrande maggioranza delle eredità italiane rientra nelle soglie esenti e quindi l’effetto per il fisco, in un paese caratterizzato dalla piccola proprietà diffusa, è sostanzialmente nullo.

Il risultato è che, a normativa vigente, dal trasferimento stimato di una somma di 120 miliardi annui tra le generazioni (ipotesi minima) nei prossimi vent’anni entreranno nelle casse del fisco italiano poco più di un miliardo e trecento milioni di euro l’anno. Su una somma trasferita tra le generazioni stimata di poco inferiore a quella italiana, ossia intorno ai 110 miliardi, il fisco francese incasserà invece nei prossimi vent’anni circa 22 miliardi di euro di gettito annuo dai diritti di successione e dalle donazioni! In Francia il sistema dei prelievi fiscali dalle successioni è particolarmente oneroso per i cittadini ed il gettito delle tasse dalle eredità patrimoniali costituisce il pilastro fondamentale per la tenuta dei conti pubblici e dell’equilibrio del loro sistema finanziario. Un sistema fiscale per le successioni meno pesante di quello francese è quello tedesco e si stima che nei prossimi vent’anni il trasferimento ereditario annuo in Germania ammonterà a circa 150 miliardi di euro annui, con un significativo e costante incremento.

Da questo importo è stimata una entrata media annua nelle casse del fisco tedesco di circa 15 miliardi di euro derivanti trasferimenti patrimoniali e dalle donazioni per eredità. Il sistema fiscale inglese ha una franchigia di esenzione intorno alle 340mila sterline e negli ultimi anni la normativa si è inasprita. La conseguenza è stata un aumento del gettito fiscale dai 4 miliardi di sterline del 2014 agli 8 miliardi di sterline del 2024. La stima è che il fisco inglese incasserà ogni anno nei prossimi vent’anni circa 11 miliardi di euro l’anno dalle tasse di successione. Nelle altre nazioni liberali il quadro è più o meno analogo, anche negli Stati Uniti. Questo quadro mostra come l’Italia resti l’unica democrazia avanzata ad avere un gettito irrisorio dai trasferimenti patrimoniali tra le generazioni per effetto delle successioni ereditarie (ben diverse sono invece in Italia le tasse sulle compravendite dei beni patrimoniali). Il gettito derivante dalle successioni ereditarie vale infatti lo 0,15 del Pil italiano.

Una scelta indiscutibile?

Questa scelta non è stata mai messa in discussione negli ultimi anni dai governi italiani di diverso colore politico nonostante l’aggravarsi dei conti pubblici e quindi sembrerebbe costituire un tratto distintivo del sistema fiscale italiano e dei principi di riferimento che ne definiscono il sistema impositivo. Anche in ragione di questa scelta in Italia negli ultimi anni i redditi da patrimonio e rendita sono aumentati più significativamente rispetto ai redditi da lavoro. Lo spostamento dei valori da redditi da lavoro ai redditi da rendita nell’ultimo decennio è stimato intorno al 20 per cento ed è intervenuto nonostante l’aumento degli occupati. I redditi da lavoro risultano mediamente più tassati, nelle diverse forme, rispetto ai redditi derivanti da rendita.

In assenza di un cambio di rotta rispetto a questo modello, se consideriamo l’andamento in Italia dei redditi da lavoro, la produttività del sistema economico, le prospettive salariali, è del tutto evidente che un trasferimento annuo di 120-150 miliardi annui di asse ereditario sostanzialmente esente da imposizione fiscale contribuirà ad aumentare ulteriormente il divario tra redditi da lavoro e redditi patrimoniali. Il rischio inoltre è che queste ingenti somme non siano finalizzate adeguatamente verso gli investimenti ed il lavoro e vadano soprattutto a contribuire alla crescita del patrimonio degli italiani più abbienti senza determinare un significativo effetto per lo sviluppo del nostro paese, per la crescita economica e del lavoro. Forse è arrivato il momento per una riflessione su un sistema fiscale che sembra più orientato a premiare le rendite che a sostenere la creazione di valore aggiunto e di nuovi investimenti produttivi.

Romano Benini

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