Economia
Il salario minimo: una questione di dignità e libertà della persona

In qualunque contesto si affronti il dibattito sulla necessità o meno del salario minimo, non lo si può ridurre a una mera questione di verità ideologica o, quantomeno, di progetto politico: bisogna inevitabilmente dare asilo ad aspetti significativamente rilevanti che non attengono solo alla sfera giuridica, ma anche e soprattutto alla non negoziabilità di valori quali la dignità e la libertà della persona, che qualunque sistema sociale che si professi democratico, moderno, liberale e riformista deve sentirsi in dovere di tutelare.
Il significato
Funzione fondamentale del salario – coerentemente alle previsioni contenute nella nostra Carta costituzionale – non è solo quella di remunerare le ore di lavoro prestate dal lavoratore, ma anche quella di garantire una vita libera e dignitosa allo stesso prestatore di lavoro e alla sua famiglia. Aspetti valorizzati significativamente pure dalla recente giurisprudenza. È dunque atteggiamento di buon senso e responsabilità politica definire un minimale retributivo, ineluttabile. Tanto più in un sistema lavoristico come quello italiano, caratterizzato da una forte frammentazione sindacale, nonché da una crescente proliferazione di sigle sindacali e di contratti collettivi, generando un meccanismo perverso e riprovevole di dumping contrattuale.
La strada maestra
Condividendo dunque il principio ed entrando nel merito della sua affermazione, le proposte normative oggi esistenti, quella che mira a fissare un salario minimo per legge (ovvero il mero rimando al trattamento economico complessivo minimo dei contratti collettivi nazionali di lavoro di maggiore applicazione), significative sono le criticità immanenti a entrambe – anche di tenuta costituzionale – complicando di fatto il fine nobile dell’individuazione della giusta retribuzione. La ragionevole strada maestra, nell’ottica di una visione liberale e riformista anche più affine alla nostra Carta Costituzionale, non collimando con la fissazione del salario minimo legale, consiste nel riconoscimento pubblicistico della contrattazione collettiva di categoria, ai diversi livelli, in funzione di una legge sulla rappresentanza sindacale, tale da restituire alle parti sociali il ruolo di autorità salariale.
In questo modo, anche per risolvere le criticità legate alle differenti condizioni economiche precipue di ciascun territorio, la contrattazione collettiva di secondo livello, ovvero regionale, provinciale o aziendale, in ragione della determinazione di un indice locale inerente al costo della vita, potrebbe intervenire per calibrare opportunamente lo standard retributivo minimo fissato dal livello nazionale.
I riverberi positivi di una tale soluzione normativa consisterebbero, da un lato, nel legittimare solo le organizzazioni sindacali realmente rappresentative e nel rendere obbligatoria l’applicazione dei contratti collettivi da loro sottoscritti nei confronti di tutti i lavoratori appartenenti a una determinata categoria; dall’altro verrebbe garantita l’affermazione della certezza del diritto e di un sistema positivo di competitività sia per gli operatori economici che per i lavoratori, nonché il contrasto al fenomeno deprecabile del lavoro povero.
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