Ma il testo non metterebbe a rischio la contrattazione collettiva
Landini catastrofista, critica la proposta della Cisl: anche la partecipazione dei lavoratori diventa un tabù

La proposta di legge di iniziativa popolare “per una governance d’impresa partecipata dai lavoratori”, promossa dalla Cisl con una raccolta di firme, è calendarizzata alla Camera il 27 gennaio. Ma sul tema è piombata la “maledizione di Montezuma” della Cgil: “La legge sulla partecipazione – ha dichiarato Maurizio Landini – distrugge la contrattazione collettiva nei luoghi di lavoro, al ribasso rispetto a quanto già concordato sui diritti di informazione e consultazione nei contratti nazionali e aziendali. Una proposta senza alcun vincolo alla reale rappresentanza delle parti”. Perché, a suo giudizio, “nessuna norma a sostegno della partecipazione può prescindere dalla definizione di una legge sulla rappresentanza e sul diritto delle lavoratrici e dei lavoratori ad eleggere i propri delegati e a votare sugli accordi che li riguardano”.
Secondo il leader di Corso Italia, “la proposta di legge limita la partecipazione dei lavoratori alla semplice presenza nei Consigli di amministrazione, indicando una generica partecipazione agli utili e cancellando il rapporto tra salario e reale prestazione lavorativa e (…) assorbendo il ruolo e l’autonomia contrattuale delle Rsu”. Strada facendo ci auguriamo che Landini chiarisca meglio i motivi per cui la pdl della Cisl dovrebbe determinare gli effetti devastanti denunciati. Soprattutto perché nel testo elaborato vi è un sostanziale rinvio alla contrattazione collettiva e quindi all’idea di una partecipazione “dal basso”. Sarebbe un grave errore per il Pd seguire pedissequamente la Cgil e abbandonare un tema classico della socialdemocrazia europea alla destra. Anche perché i dem hanno attivamente collaborato alla definizione del testo base. Va notato però che, fino ad ora, solo Forza Italia ha organizzato (per il 22 gennaio) un’iniziativa a sostegno della legge.
In realtà la proposta innova l’interpretazione dell’articolo 46 della Costituzione, in quanto supera l’idea di una partecipazione conflittuale, quale era in fondo nell’immediato Dopoguerra la funzione dei consigli di gestione, organismi dei lavoratori dipendenti pensati nella prospettiva di una prossima socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio. Nella pdl si prefigura un’esperienza di “elevazione del lavoratore a collaboratore dell’impresa, con l’intento di dare progressività alla norma fino a una sua piena evoluzione nella partecipazione”, allo scopo di responsabilizzare i lavoratori nel buon andamento dell’azienda e – allo stesso tempo – di realizzare “una dimensione del capitalismo in cui il portatore di risorse finanziarie non può prevaricare l’interesse delle persone e della società”.
In sostanza, la partecipazione non è solo un momento di governance a sé, ma si iscrive in un modello di relazioni industriali che ha già dei solidi punti di riferimento nell’associare i lavoratori alla definizione delle prospettive dell’impresa. La partecipazione – sostiene la Cisl – rappresenta il consolidamento e l’ampliamento di una visione e di una pratica già presente nell’esperienza delle relazioni industriali. Il “cammino della speranza” parte da lontano, dalla strategia dell’Eur alla fine degli anni ’70; in seguito ha trovato un approdo nella prima parte dei contratti dove venivano previste procedure periodiche di consultazione ed esame congiunto. È già questo un modello di partecipazione, a cui si aggiunge la svolta della contrattazione di prossimità, sostenuta dalla detassazione e decontribuzione dei premi di risultato, rafforzati in caso di coinvolgimento paritetico dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro. Una linea che è stata confermata nell’ultima legge di bilancio e viene sostenuta come prioritaria dall’attuale governo.
Per dare l’idea di un processo virtuoso già avviato, nella relazione viene indicato un numero congruo di significative esperienze aziendali e di gruppo, realizzate tramite la contrattazione collettiva. Nello specifico, a fine 2023 gli accordi sulla produttività in vigore erano circa 16mila e i lavoratori interessati avevano raggiunto quota 4,7 milioni. Ne emerge una visione prospettica ben diversa da quella funerea e disfattista egemone nella predicazione delle altre confederazioni sindacali. E il governo, se è interessato a un rapporto con i sindacati che non si limiti a incassare uno sciopero generale all’anno, ha il dovere di contribuire alla costruzione di un contesto in cui possa esprimersi un diverso modello di relazioni industriali.
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