Cazzolate
Nessun fatto epocale
Contratto di lavoro degli statali, la narrazione dei fatti distorta e i due Cavalieri dell’Apocalisse

Questa “Cazzolata” ha finalità didascaliche, perché si propone di analizzare e denunciare un caso di disinformazione (ad alto livello) finalizzato a scopi di lotta politica. La gravità dell’operazione risiede, ad avviso di chi scrive, dalla palese violazione di un codice deontologico. Chi fa informazione “indipendente” non deve distorcere la narrazione dei fatti, anche se la sua linea editoriale è contraria alla natura e alla politica del governo in carica.
Il caso del contratto di lavoro degli statali
Il caso riguarda il rinnovo del contratto di lavoro degli statali appartenenti alle amministrazioni centrali e alle agenzie (circa 200mila lavoratori) sottoscritto il 6 novembre scorso, ora in attesa del completamento delle procedure previste dalla legge per la sua entrata in vigore definitiva. In quei giorni era in corso la polemica sullo sciopero generale promosso (per la quarta volta in quattro anni) da Cgil e Uil per il 29 novembre all’insegna della “rivolta sociale” contro il governo “della fame, del freddo e della paura”. Una rottura del fronte sindacale anche sul piano contrattuale (per ora l’unico caso di una stagione di rinnovi contrattuali unitari e ritenuti positivi per i lavoratori) contribuiva all’esasperazioni dei toni e delle polemiche.
Le risposte inadeguate
L’accordo, sottoscritto dalla Cisl-Fp e dai sindacati autonomi Confsal Unsa, Flp e Confintesa Fp, non aveva avuto l’adesione di Fp-Cgil e Uil-Pa, secondo le quali il testo non dava risposte adeguate alle lavoratrici e ai lavoratori del comparto. Per essere obiettivi, siamo disposti ad ammettere che anche da parte della Cisl vi fosse in animo di sottolineare, sottoscrivendo l’intesa, una linea di condotta diversa da quella delle ex consorelle e coerente con la posizione avversa allo sciopero generale. Tuttavia, la posizione favorevole all’accordo era prevalsa all’interno della delegazione sindacale con il 56,4% dei voti. Stando alle norme sulla rappresentanza (“L’ARAN sottoscrive i contratti collettivi verificando previamente, sulla base della rappresentatività accertata per l’ammissione alle trattative (….), che le organizzazioni sindacali che aderiscono all’ipotesi di accordo rappresentino nel loro complesso almeno il 51% come media tra dato associativo e dato elettorale nel comparto o nell’area contrattuale, o almeno il 60 per cento del dato elettorale nel medesimo ambito”), l’intesa era conforme alla legge e quindi valida.
Un accordo separato
Certo si trattava pur sempre di un accordo “separato” (sarebbe il caso però di cominciare a vedere se – a separarsi dagli altri – sia chi firma o chi no), in un contesto dove i due Cavalieri dell’Apocalisse, Maurizio Landini e Pierluigi Bombardieri sono diventati i beniamini del “politicamente corretto”, i “difensori della fede” democratica e antifascista, minacciata dalla destra al potere. Sconfitta secondo le norme vigenti e fino ad ora accettate come reagisce la nuova coalizione alleata dei Cobas, decide di forzare le regole, promuovendo un referendum tra i lavoratori ma, come certifica l’ARAN: “Tecnicamente quella indetta da Cgil, Uil e Usb è una consultazione, non è un referendum (…). Quindi, passato l’esame della Corte dei Conti, tra una quindicina di giorni il contratto verrà definitivamente sottoscritto e applicato”.
Nessun fatto epocale
È una storia vecchia come il cucco: i vertici si “vendono” alle controparti, ma i lavoratori stanno con la Cgil. Invece non finisce così. Alla consultazione partecipano circa 40mila lavoratrici e lavoratori tramite operazioni di voto on line (il 98% dei quali si è dichiarato contrario all’intesa). Anche se la consultazione ricorda molto quelle del M5S, prendiamo per buono il dato e riconosciamo il riguardo che meritano 40mila espressioni di voto. Ci sembra tuttavia eccessivo parlare di “fatto epocale” come affermano le organizzazioni promotrici, le quali, con questa iniziativa si sono sbattuta la zappa sui piedi perché hanno certificato di essere anche tra i lavoratori quella minoranza che era risultata al tavolo del negoziato. Ma nei momenti difficili si può sempre contare sulla disponibilità alla malafede degli “amici”.
Malafede
Solo la malafede può spiegare uno stravolgimento della realtà come quello che emerge dal commento sull’esito del voto di un giornale autorevole come Repubblica (ma non è stato il solo): “Un no che non ha valore giuridico, ma che ha la forza di un macigno, con una quota di contrari del 98% che non lascia spazio a ipotesi di conciliazione: il referendum indetto da Cgil, Uil e Usb sul contratto delle funzioni centrali (ministeri e agenzie) siglato il 6 novembre da una maggioranza risicata (54,6%) della rappresentanza sindacale degli statali, ha bocciato l’ipotesi di rinnovo per il 2022-2024”.
© Riproduzione riservata