Giallo sulle dimissioni dal Dis di Del Deo: «Verso nuove esperienze"
La battaglia persa di Salvini per il Viminale, Piantedosi snobba la Lega e pensa all’Avellino: i veti di Meloni e Tajani dettano la retromarcia

Il ministro Matteo Piantedosi non pensa minimamente di lasciare il Viminale. Giorgia Meloni lo blinda. Antonio Tajani lo incensa: «Massima considerazione per il ministro Piantedosi. Sta lavorando benissimo». Il colle sacro della politica – tanto da essere stato la sede del governo nel Regno d’Italia, quando Palazzo Chigi era ancora l’ambasciata austriaca – diventa l’agone dove Matteo Salvini sfida il centrodestra. Il leader leghista nel suo discorso congressuale aveva lanciato la sua Opa, presentando una “candidatura spontanea” per gli Interni. «Sapendo che Matteo Piantedosi è e sarà un amico e un grande uomo di Stato, di quello che mi avete chiesto con serenità parlerò sia con lui che con Giorgia Meloni». Quello della serenità era un auspicio ambizioso.
Piantedosi monopolizzato dall’Avellino
L’interessato ha replicato con distacco: «Il ministro Salvini ha rivendicato il ministero dell’Interno? Dico una cosa: questo fine settimana per me è stato molto bello perché l’Avellino ha vinto a Catania confermando il primo posto nella classifica di serie C, questo ha completamente monopolizzato la mia attenzione». Risposta diplomatica fino a un certo punto: sottintende che del congresso della Lega non gli è interessato molto. E quando gli fanno balenare l’ipotesi – accarezzata proprio da Salvini – di una sua candidatura alla presidenza della Regione Campania, la replica è ancora più sferzante: «Io fuori dal ministero ambirei solo ad un ruolo all’Avellino Calcio, è l’unica passione che coltivo al di fuori del Viminale». D’altronde il Ministro Piantedosi ieri era proprio in Campania, nel casertano: «Qui c’è stata una ribellione civile alla camorra accompagnata da una presenza più forte dello Stato rispetto ai tempi in cui c’è stata una oggettiva sottovalutazione», ha detto.
Per poi lanciare il cuore, anzi l’agenda, oltre l’ostacolo: «Giornate e iniziative come queste non devono rimanere isolate: il Governo deve affiancare ad un’azione rinnovata di grande forza di contrasto alle organizzazioni criminali un’attenzione particolare al recupero di ambiti di degrado del territorio». Il titolare del Viminale sembra voler opzionare i prossimi impegni, altroché fare passi indietro. L’aria è quella della blindatura. Gli alleati del centrodestra, Fratelli d’Italia in testa, ma anche gli azzurri, non ne vogliono sapere di cambiare la casella degli Interni, architrave sul quale poggia l’equilibrio – e la staticità – della maggioranza. E Giorgia Meloni non vuole neanche sentir parlare di rimpasto. Ieri la parola tabù non sarebbe stata neanche proferita nell’incontro tra Meloni, Salvini e Tajani, presenti i ministri Giancarlo Giorgetti (Economia), Tommaso Foti (Affari europei), Francesco Lollobrigida (Agricoltura), Adolfo Urso (Imprese e Made in Italy).
La retromarcia di Salvini
In tarda serata, una nota della Lega segna l’armistizio. Facendo capire che il veto di Meloni e Tajani è arrivato, chiaro e tondo. Se «il desiderio del partito è chiaro», trapela da fonti di via Bellerio, «Matteo Salvini non intende fare forzature o accelerazioni». Detta ancora meglio: «La Lega non pone e non porrà problemi a Giorgia Meloni, e Salvini è totalmente immerso nel suo lavoro al Mit. Il suo approccio è sempre costruttivo a beneficio della maggioranza». Un dietrofront bello e buono, raccolto da Ansa. Sul quale atterra il vertice di governo che era stato già convocato venerdì scorso dalla Premier e che ha preso il via alle 18, con i dazi all’unico punto dell’ordine del giorno ma con una inevitabile coda – a porte chiuse – nella quale si sono confrontati direttamente i leader della maggioranza. Nella prima parte del vertice, durata un’ora e quaranta, è stato confermato l’incontro con le parti sociali – preoccupatissime – per oggi. Ed è stato bollinato il viaggio di Meloni a Washington, previsto, forse, per il 16 aprile.
Dis, lascia il vice Del Deo
Un blitz importante anche per anticipare le mosse di JD. Vance che sarà a Roma la settimana successiva. Sulla seconda parte, le voci di corridoio riportano l’irritazione di Tajani per l’ennesima fuga in avanti di Salvini e le raccomandazioni di Meloni: nervi saldi e pancia a terra. La tempesta diplomatica, commerciale, finanziaria internazionale richiede gioco di squadra e massima disciplina. E sulla giornata politica si addensa il giallo delle dimissioni di Giuseppe Del Deo dalla vicedirezione Dis, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza. «Dopo oltre 30 anni di servizio nelle Istituzioni, di cui 20 nei Servizi di Intelligence, Aise, Aisi, Dis, e dopo aver avuto l’opportunità di ricoprire numerosi ruoli in contesti diversi, lascio i miei uffici nell’esclusivo intendimento di effettuare nuove esperienze professionali», recita la nota di Del Deo. Proprio venerdì scorso il Dis ha iniziato a desecretare i documenti relativi al caso Autogrill, dopo che la Presidente del Consiglio ne aveva autorizzato la disclosure.
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