Matteo Salvini spinge il piede sull’acceleratore per ribadire di essere un discepolo di Donald Trump. Antonio Tajani giura fedeltà all’europeismo e assicura che la linea estera viene dettata dal presidente del Consiglio e dal titolare della Farnesina. Strade diverse, stesso obiettivo: smarcarsi e parlare al proprio elettorato. Le divisioni nella maggioranza sono lampanti, e non possono certamente essere messe in ombra in eterno dal polverone alzato sul Manifesto di Ventotene. Certo, nulla di irrimediabile: la stabilità del governo non è in discussione. Anche perché i sondaggisti contattati dal Riformista non hanno dubbi: è (quasi) tutto un gioco di posizionamento, non per terremotare l’esecutivo. Ma la gara dei distinguo è imprevedibile e prima o poi potrebbe sfuggire di mano.

La competizione serrata

Le rilevazioni fotografano una competizione serrata per il secondo posto nella coalizione. I due contendenti si rivolgono a elettorati molto diversi, e Livio Gigliuto – presidente dell’Istituto Piepoli – snocciola numeri interessanti: «Forza Italia raccoglie il consenso di chi si è sempre identificato nel centrodestra ma vuole rappresentarsi come moderato (solo un elettore su quattro si definisce di destra), mentre la Lega ha spostato i propri riferimenti e oggi vede sei suoi elettori su dieci dichiararsi di destra». Insomma, il duello inciderà poco; «al massimo, potrà rafforzare i posizionamenti già esistenti». Lorenzo Pregliasco ritiene che siano schermaglie di minima entità, che non sposteranno granché nei sondaggi: «Se anche spostassero, comunque lo vedremmo dopo un certo tempo e non istantaneamente». In effetti il co-fondatore e direttore di YouTrend parte da un dato: l’orientamento di voto degli elettori non viene messo in discussione o alterato da ogni minimo dettaglio della cronaca politica, e bisogna considerare che «la grandissima maggioranza degli elettori non è neanche a conoscenza di questa schermaglia». Il botta e risposta, alla fine, conviene a tutti: entrambi hanno da guadagnarci perché aiuta a distinguersi e a caratterizzare l’offerta politica. «Finché le posizioni sono compatibili e finché l’alleanza regge, può essere un gioco a saldo positivo per il centrodestra, perché ciascuno si contraddistingue, si dà una linea più riconoscibile e quindi massimizza la propria visibilità e il proprio consenso senza toglierne troppo agli altri», sostiene Pregliasco.

Per Gianluca Borrelli, fondatore ed editore di Termometro Politico, «c’è molta gente che vede di buon occhio Trump e pochi partiti che sembrano stare dalla sua parte»; invece «il campo degli odiatori di Trump ha molta rappresentanza». Più che una rivalità tra FI e Lega, l’esperto vede un possibile riposizionamento di alcuni elettori di Fratelli d’Italia nel lungo termine qualora Giorgia Meloni dovesse schiacciarsi troppo sulle posizioni di von der Leyen: «Abbiamo visto che la fiducia verso Ursula è estremamente bassa. Quasi tutti i partiti sembrano pendere dalle sue labbra e non la mettono mai in discussione. La stessa Meloni tende a essere accomodante verso di lei e fare alla fine come viene deciso a Bruxelles. Tutto questo per ora non la sta offuscando, ma alla lunga potrebbe».

Un sospetto che nasce dall’analisi dell’ultimo sondaggio di TP, secondo cui il 29,4% ha poca fiducia nella presidente della Commissione europea e addirittura il 46% per nulla. Se è vero che gli italiani nutrono uno scarso ottimismo verso Trump, al tempo stesso – annota Gigliuto – «sono delusi dall’Europa, dalla quale si aspettavano un ruolo più incisivo nella gestione dei conflitti internazionali». Oro colato per Salvini, avvertimento chiaro e tondo per il tandem Meloni-Tajani. Fino a quando il leader leghista si accontenterà delle simboliche fughe in avanti senza toccare palla sulla postura internazionale dell’esecutivo?