I residenti di Via Torlonia, a Roma, avrebbero potuto essere un po’ meno verbosi, un po’ meno ellittici nel richiedere che il memoriale della Shoah in costruzione nel loro quartiere sia spostato dove non disturba. Avrebbero potuto farla breve, dicendo con più verità e con meno giri di parole che questa storia dell’Olocausto ha rotto le palle. E invece hanno preferito spiegare che, signori miei, ai residenti della zona tocca vedere che il cantiere del memoriale attira un sacco di brutte scritte che deturpano il decoro urbano. Uno scende a fare due passi e trova tutto rovinato: un senso di degrado e insicurezza da non dire. E poi la puzza: figuratevi che sul cantiere del museo della Shoah, l’altro giorno, qualcuno ha riversato un carico di escrementi. Senza nessun rispetto per gli abitanti del quartiere.

L’avvocatessa delegata alla rappresentanza professionale di quelle istanze di trasferimento ha spiegato, facendo appello a una serqua di insorgenze costituzionali, che i diritti di cui tenere conto, perdinci, sono parecchi, a cominciare dal diritto alla sicurezza e al quieto vivere della cittadinanza. E non è che tu impianti un memoriale che va bene, d’accordo, sarà anche giusto, per carità, figurarsi: ma insomma, se poi qualcuno lo riempie di merda e la puzza arriva in casa della gente come la mettiamo?

Anche perché, soggiunge il profilo togato dell’esposto fatto dai residenti, bisogna pur considerare che dopo il 7 ottobre le cose sono cambiate. L’assassinio di 6 milioni di ebrei, pur perpetrato anche con la collaborazione italiana, dopo il 7 ottobre è gioco forza da riconsiderare un pochetto. Magari non arriveremo a negare che ci sia stato, quello sterminio, ma se ricordarlo significa portare disordine nel quartiere, accidenti, vogliamo prendere provvedimenti sì o no? D’altra parte non costa proprio nulla: basta che il memoriale sia spostato altrove, in aperta campagna magari, dove può essere ricoperto di scrittacce e di cacca senza che la cosa arrechi fastidio a nessuno.

Ovviamente (diamo ai cari abitanti di quel quartiere, e alla loro patrona forense, questo margine di buonafede) non si rendono conto dell’enormità di cui hanno dato prova. Ovviamente non sanno di aver fatto anche peggio degli italiani voltati dall’altra parte mentre gli ebrei erano caricati sui vagoni piombati. Peggio: perché questo scempio viene dopo quello di ottant’anni fa, e senza che quello di ottant’anni fa sia stato abbastanza per impedire quello di oggi.

Non sanno – concediamoglielo – che l’esposto con cui chiedono che sia spostato quel memoriale è scritto con l’inchiostro delle leggi razziali. Starebbe alle amministrazioni destinatarie del loro esposto farglielo sapere. Ma non succederà.