La giornata
Meloni e la baruffa su Ventotene per spostare l’attenzione, ma i nodi vengono al pettine. Fassino: “Manifestazione di arroganza e ignoranza non consentita ad una Premier”

Oggi il Consiglio UE rimetterà la grande politica al centro. Le decisioni da prendere, ReArm Europe in testa, vanno prese. E Meloni dovrà portare a Bruxelles il sì ricevuto dal Parlamento italiano alla mozione, con qualche ravvedimento operoso che da Roma viene chiesto a Ursula von der Leyen. Dopo aver illustrato al Senato la linea che il governo porterà al summit europeo, la premier si è presentata alla Camera per le comunicazioni ufficiali.
La giornata
Nel suo intervento, la Presidente del Consiglio ha ribadito i punti chiave del discorso che aveva tenuto il giorno prima a Palazzo Madama: la necessità di mantenere unito il fronte occidentale e l’urgenza di trovare una soluzione al nodo dei dazi, per scongiurare una guerra commerciale con gli Stati Uniti che rischierebbe di penalizzare ulteriormente l’Italia. Il conflitto in Ucraina resta il grande nodo sul tavolo. La lunga telefonata tra il presidente Usa Donald Trump e quello russo Vladimir Putin è il ‘fatto nuovo’ che potrebbe segnare una svolta nella guerra che da tre anni insanguina l’est del Continente europeo: «C’è una ipotesi di cessate il fuoco parziale, limitato a infrastrutture strategiche, è un primissimo spiraglio nel senso di quanto concordato a monte tra Trump e Zelensky» commenta Meloni. L’Italia, ribadisce, sostiene «gli sforzi di Trump» da lei definito «un leader forte e autorevole» capace di «imporre le condizioni per una pace giusta e duratura». Meloni porta a casa, dietro le quinte dello scontro frontale con le opposizioni, una ricucitura della sua maggioranza, messa a dura prova dalla posizione ruvida di Donald Trump sull’Ucraina.
L’attacco a Ventotene
Ma l’aula di Montecitorio ieri si è infiammata per un incidente imprevisto. Accaduto quando la premier, rispondendo alle dichiarazioni di Elly Schlein, ha attaccato alcuni passaggi del Manifesto di Ventotene, considerato il pilastro fondativo dell’Unione Europea. «Non è la mia Europa», dichiara la premier, scatenando la bagarre tra le opposizioni. Le tensioni raggiungono l’apice con le proteste del Pd, tanto da costringere la presidenza a sospendere la seduta per ben due volte. Sul tema, Meloni lancia una stoccata alla segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, chiedendole: «Quando afferma che Trump non sarà mai un alleato, cosa intende esattamente? Sta forse suggerendo che dovremmo uscire dalla Nato?». Con il tycoon, «sono convinta che non assisteremo alle scene di debolezza occidentale viste in Afghanistan», assicura Meloni, sottolineando che «la questione ruota attorno alle garanzie di sicurezza» per Kiev.
Giorgia Meloni: “Arrogante e ignorante”
Proprio su questo punto, la premier rilancia la proposta italiana: estendere all’Ucraina una “struttura” ispirata all’Articolo 5 della Nato, senza che il Paese debba entrare formalmente nell’Alleanza Atlantica. Una soluzione che, secondo Meloni, «svelerebbe un bluff: se la Russia non ha intenzione di invadere nuovamente i suoi vicini, non si capisce perché dovrebbe opporsi a garanzie di sicurezza puramente difensive». Le idee ci sono. Gli argomenti sarebbero interessanti, nel merito. Ma il clima si incendia quando Meloni, nel criticare l’idea di Europa sostenuta dalla sinistra, prende le distanze da alcuni passaggi del Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. Tutti i deputati dem protestano, Fornaro rivolge un richiamo veemente all’indirizzo del governo, Schlein si sgola, persino Piero Fassino alza i toni: «Il Manifesto di Ventotene è il fondamento ideale dell’unità europea, una storia di pace, stabilità e integrazione, che ha funzionato e che funziona. Il modo in cui ne ha parlato Giorgia Meloni oggi alla Camera è una manifestazione ripugnante di arroganza e ignoranza non consentita a un presidente del Consiglio».
Meloni e la baruffa su Ventotene per spostare l’attenzione
La baruffa sembra voluta ad arte per plastificare la contrapposizione tra maggioranza e centrosinistra. O meglio, per nascondere gli imbarazzi di entrambi gli schieramenti: su ReArm Europe FdI fatica a portare a casa il pieno sostegno della Lega, nel campo largo Schlein, Conte, Fratoianni e Bonelli sono nettamente contrari all’aumento del budget per l’eurodifesa. Tornando in sede europea, i nodi verranno al pettine. Ha buon gioco Carlo Calenda, che in questa fase, per demeriti degli avversari, si sta ritagliando un ruolo di tutto rispetto. «Contraddizioni? Ne vedo dappertutto, nella maggioranza e nell’opposizione. Nella maggioranza in cui Salvini prima era filoputiniano e ora è la groupie di Trump, nel Pd in cui anche Bonaccini dice che i deputati possono votare anche al contrario di come ha votato lui sulle armi. Noi invece restiamo fermi nella nostra posizione: l’Ucraina va aiutata per una pace giusta, ci vuole un’Europa forte per dissuadere Putin e Trump non è affidabile perché vuole distruggere l’Europa», dice il leader di Azione.
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