Incontriamo Marco Mancini, lo 007 che ha a lungo guidato il controspionaggio italiano.

In questo periodo di turbolenze internazionali si sta distogliendo l’attenzione da un fronte rimasto molto caldo, il Medio Oriente. Dopo la visita di Netanyahu a Trump sembra che Stati Uniti e Israele siano più distanti…
«È così. Trump ha imposto a Israele un passo indietro sulla linea dura contro Hamas. Ha confermato il 17% dei dazi a Israele e nel contempo gli ha chiesto di cessare le ostilità su Gaza. Non approverà nuovi bombardamenti neppure nell’area grigia dei tunnel. C’è questo dietro all’annullamento della conferenza stampa tra i due capi di Stato alla Casa Bianca».

Hamas può ringraziare Trump, allora. Ma Israele non demorderà.
«Hamas non sta ancora reagendo ai bombardamenti israeliani che la notte del 22 marzo scorso hanno ucciso alcuni dei suoi capi, tra cui figure di alti ufficiali come Salah Al-Bardawil, Etsam Dalais, Mahmoud Watfa. Vertici di Hamas la cui eliminazione dimostra ancora una volta come Israele individua e colpisce i suoi nemici più insidiosi».

E perché, Mancini, segnala che Hamas non sta reagendo?
«Hamas ha reagito internamente, con il rastrellamento di 350 palestinesi accusati di essere a vario titolo in contatto con Israele. Li ha uccisi tutti, in rappresaglia contro Netanyahu, additandoli come collaborazionisti. E dunque come traditori. Ma stanno preparando anche un’altra rappresaglia».

Di che tipo?
«Un nuovo 7 ottobre. Più piccolo, nelle dimensioni, più contenuto. Ma non meno efficace nell’effetto che puntano a produrre: minare la credibilità dell’IDF e mettere Netanyahu in seria difficoltà sul fronte interno».

Una rappresaglia importante. Secondo le sue informazioni, che tipo di attacco potrebbe essere?
«Progettano il sequestro di due effettivi dell’esercito israeliano per ogni postazione militare nel perimetro di Gaza, soprattutto nella zona di Khan Younis. Vogliono rifarsi un bottino di ostaggi israeliani di peso, e sanno quanto valgono i militari per Netanyahu. Nel caso di Shalit lo scambio per un soldato fu di circa 1500 prigionieri».

Chi ha dato l’ordine?
«Mohammed Sinwar, il fratello – superstite – dell’ex comandante militare di Hamas e dal 24 ottobre 2024 nuovo leader di Hamas nella Striscia di Gaza. Vuole riproporre lo schema del 7 ottobre senza ripetere i sequestri indiscriminati ma andando a prelevare e portare nei tunnel solo personale militare. Sono operazioni precedute da attività di intelligence e da osservazioni sul campo. Sinwar ha capito che l’unica forza efficace per mobilitare l’opinione pubblica israeliana contro Netanyahu sono gli ostaggi. Di recente è stata tenuta una riunione del vertice di Hamas in un tunnel a 80 metri sotto terra e si è discussa di questa operazione».

Quanti e dove sono, secondo le sue informazioni, gli ostaggi del 7 ottobre ancora nelle mani dei sequestratori di Hamas?
«Sono 59, tra vivi e morti. Ritengo che i vivi siano separati tra di loro – non nascosti insieme – e nascosti sotto terra tra Rafah e Khan Younis. Ci sono 40mila miliziani di Hamas attivi, e i chilometri di tunnel del tutto sconosciuti a Israele sono ancora tanti in quell’area».

Mancini, lei è fuori dai servizi segreti da tre anni. Come mai ha ancora tutte queste informazioni?
«Sono uno che si informa, ho modo di incontrare delle persone. E proprio come i giornalisti devo tutelare le mie fonti».

Sa dirmi come mai si è dimesso dal Dis, Del Deo?
«Sto a quello che leggo sui giornali. Mi sembra che sia dovuto a inciampi in cui è incorso».

A cosa si riferisce?
«Se è vero che un servizio segreto svolge un’attività informativa nei confronti del Capo di gabinetto del Presidente del Consiglio, è chiaro che questo non è che incrina un rapporto di fiducia: lo annulla completamente. In un paese normale non può e non deve capitare.
E poi pare che qualcuno abbia tentato di introdursi nella macchina dell’ex compagno della Presidente Meloni.
Non so se sia vero. So che queste cose potevano accadere nell’ex Germania Est o nella Romania di Ceaușescu. Non in Italia. E poi c’è il mistero di Paragon».

Cosa può dirci, al riguardo?
«Non ho capito chi è stato intercettato e per che cosa. Tra gli intercettati, anche un sacerdote che parlava con il Santo Padre. E un giornalista. Pochi sanno che il contenuto delle intercettazioni preventive, autorizzate dal Procuratore generale presso la Corte d’Appello, non può essere autorizzato nei dibattimenti. La persona intercettata non saprà mai cosa delle sue conversazioni è stato preso».

A proposito di cose da chiarire, viene meno il segreto di Stato sulla vicenda Autogrill?
«Bisogna verificare bene gli atti, se la Presidente del Consiglio ha dato effettivamente disposizione di rimuovere il segreto di Stato si potranno fare indagini che erano inibite fino a oggi. Una per tutte: si potrà chiarire se la professoressa che ha fatto le riprese e il suo compagno, che le aveva telefonato qualche minuto prima, hanno avuto contatti anche occasionali con appartenenti del Dis, dell’Aise e dell’Aisi. Un accertamento mai fatto. E bisognerà accertare come mai io, agente in servizio, sono stato identificato da un agente dei servizi segreti in pensione. Tanti scenari di quella vicenda sono da chiarire: se io adesso andassi con lei davanti al Dis di Piazza Dante, e lei li fotografa e ne pubblica i nomi, credo che commetteremmo entrambi un reato».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.