Un numero non enorme ma neppure irrisorio di abitanti di Gaza ha manifestato per le strade reclamando confusamente la fine della guerra e la fine del potere di Hamas. È presto per dire se quelle contestazioni rappresentano fiammate episodiche, destinate a un veloce spegnimento, o al contrario il conato di una sollevazione capace di attentare seriamente al dominio esercitato sulla Striscia dalle attuali dirigenze palestinesi.

Ma, se è presto per fare simili previsioni, è invece già possibile spiegare per effetto di quale causa quella gente s’è messa a manifestare in quantità e forme mai viste prima. Quei cortei manifestavano contro la bugia proclamata da Hamas nel corso delle cerimonie trionfali delle settimane scorse, quando la popolazione civile era adunata a celebrare la vittoria durante la consegna degli ostaggi e delle bare contenenti i corpi degli israeliani assassinati. A corrispettivo di quella presunta vittoria è venuta una scarica di bombe che ha fatto molto più e molto peggio che eliminare un’altra quota di dirigenti di Hamas: ha reso chiaro a quelle folle quanto fosse illusorio festeggiare sui corpi dei nemici ischeletriti o fatti a pezzi, e quanto fosse menzognera la promessa di un qualsiasi futuro garantito da chi aveva messo su quel teatro.

Non avevano capito allora ciò che, forse, per quanto oscuramente, hanno cominciato ora a capire i manifestanti che l’altro giorno e ancora ieri si sono lasciati andare a quelle proteste: vale a dire che Gaza non avrebbe mai più rappresentato un pericolo per Israele. E non tanto nel senso che i miliziani e i civili di Gaza che mantengono ambizioni aggressive non siano attualmente capaci di far danno, ma nel senso che Israele, dopo quelle scene, avrebbe assunto e mantenuto la determinazione di impedirglielo definitivamente.

La ripresa delle operazioni belliche a Gaza – per quanto oggetto delle prevedibili esecrazioni della cosiddetta comunità internazionale – non aveva il segno dei mesi di guerra precedenti. Cominciava a essere chiaro – e forse, appunto, anche a chi subiva i nuovi attacchi – che Gaza mai e poi mai sarebbe stata ricostruita finché fosse stata nelle mani di chi l’ha sequestrata. E cioè chi, prima, l’ha trasformata nella più potente centrale terroristica del mondo e, poi, ne ha pianificato la distruzione pensando che le macerie travolgessero infine anche Israele.

Una parte non insignificante della comunità internazionale ha assistito più con dispetto che con noncuranza a quelle prime manifestazioni di protesta. In modo neppure malcelato, infatti, anzi quasi dichiaratamente, da parte di molti si coltiva l’idea che il nemico di Gaza – e dunque anche di quei manifestanti – sia Israele, cioè la forza occupante, l’entità genocidiaria, insomma il governo “fascista” dello Stato ebraico che col pretesto del 7 ottobre ha portato a compimento il proprio programma di punizione collettiva. L’idea che il nemico di Gaza non stia in Israele, ma a Gaza, è la bestemmia che fa trasalire le platee maggioritarie: assai ben disposte alla tutela dei diritti dei palestinesi a condizione che tali diritti risiedano nella resistenza – anche con Hamas va bene – alla sopraffazione sionista. Non è presso quelle platee che troveranno riconoscimento e sostegno i manifestanti di Gaza.