Sei Punte
La guerra a Gaza
Finalmente anche l’Anp condanna Hamas, il fronte pro-terroristi inizia a sgretolarsi?
Il portavoce di Mahmoud Abbas punta il dito contro il «comportamento irresponsabile» delle belve. La dichiarazione, anche se del tutto generica, arriva dopo la ripresa degli attacchi di Israele a Gaza

“Condanniamo il comportamento irresponsabile di Hamas”, ha dichiarato il portavoce di Mahmoud Abbas, presidente dell’Autorità nazionale palestinese. Parallela, anzi simultanea alla denuncia della ripresa degli attacchi israeliani nella Striscia di Gaza (“Israele sta commettendo un massacro contro il nostro popolo”), la dichiarazione palestinese è significativa per almeno due motivi. Primo, con apparente paradosso, perché è del tutto generica. Secondo, perché interviene in un momento (appunto la ripresa delle operazioni belliche) che la renderebbe incomprensibile e gratuita se non presupponesse, in realtà, un mutamento della situazione che attutisce e trasforma in un vago rumore di fondo lo strepito per la prosecuzione del “massacro”.
Quella genericità (quale sarebbe il comportamento “irresponsabile” di Hamas?) non svuota ma rigonfia di significato la mossa comunicazionale dell’Autorità palestinese perché si presta, come si è già prestata, a una destituzione complessiva dell’accreditamento di Hamas. Non è un comportamento specifico, una iniziativa particolare, un gesto determinato a screditare il ruolo di “potere de facto” che Hamas pretendeva di esercitare ulteriormente e di cui ora teme l’esautoramento: è proprio quel potere, e il titolo originario a esercitarlo, che nel giro di poche settimane è andato in derelizione. Non era certo che accadesse, ma è accaduto. Non importa più quale sia la forza militare di Hamas e non importa più quanto sia radicato il potere che, di fatto, Hamas sarebbe ancora nella possibilità di esercitare. Questi sono ormai dettagli, gravidi di conseguenze e di sofferenze per Israele e per Gaza: ma restano dettagli in un quadro che vede ormai esclusa l’ipotesi che Hamas possa sperare in un qualsiasi proprio futuro di potere su Gaza.
Gli elementi che hanno contribuito a determinare questo sviluppo non scontato sono molti e non è il caso di farne qui l’elenco. Ne basti uno, tanto esemplare quanto sottovalutato dagli osservatori occidentali: la scena della folla palestinese in festa mentre restituiva nelle bare gli israeliani rapiti, e riceveva in cambio centinaia di terroristi, dava il segno che non era più possibile neppure immaginare una soluzione del conflitto che non passasse per la definitiva eradicazione di Hamas. Ed era una consapevolezza che insisteva su due fronti: non solo, comprensibilmente, su quello israeliano, ma anche su quello composito degli avversari, i quali da quel momento in poi avrebbero potuto reperire ben pochi argomenti contro la pretesa di Israele di non avere un simile vicino. La stessa consapevolezza ha lambito quel simulacro di autorità che è ormai l’Autorità nazionale palestinese, la quale ora – pur timidamente e tra gli incroci di interessi e corruttele che ne inviluppano la costituzione – comincia forse a capire che la rovina di Hamas coinciderà con la propria se Gaza pretenderà ancora di ricostruirsi sulle rovine di Israele.
Come si diceva sopra, alla significativa genericità di quella dichiarazione del portavoce di Mahmoud Abbas si aggiunge il tocco di tempestività, a sua volta tutt’altro che privo di senso, con cui quelle poche parole sono state affidate alle agenzie di stampa. Solo qualche settimane fa, attacchi israeliani come quelli dei giorni scorsi avrebbero suscitato un coro di esclusiva esecrazione, senza nessuno spazio neppure per il più veloce e collaterale riferimento a responsabilità che non fossero quelle di chi – Israele – in modo criminale tornava a macchiarsi di sangue innocente. Nel nuovo scenario questo spazio si è aperto, e la denuncia del “massacro” può andare di conserva con quella requisitoria contro Hamas che non ha bisogno di dettagli, non ha bisogno di riferimenti, non ha bisogno di fatti specifici da cui articolarsi per un motivo molto semplice: e cioè perché il racconto della guerra di Gaza che non preveda sufficienti capitoli dedicati alle responsabilità di Hamas magari ha ancora qualche lettore disponibile, ma vende poco.
Sbaglierebbe, infine, chi credesse che sia stata la tracotanza di una nuova amministrazione statunitense, compiacente nel rinvigorire le brame guerrafondaie del governo israeliano, ad aver cambiato i connotati del conflitto e l’atteggiamento di chi vi assiste. Quei connotati sono sempre gli stessi, dall’inizio: con l’unica – ma decisiva – differenza che quelli di Hamas hanno perso l’oscena presentabilità di cui hanno goduto dal 7 ottobre a questa parte.
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