Sei Punte
La mattanza
Ritardi e falle del 7 ottobre, la Difesa israeliana poteva fermare Hamas: per ore e ore terroristi indisturbati
Sempre più rapporti evidenziano le lacune dell’esercito, che non ha saputo arginare il Sabato Nero. Ma i pro-Pal non ne parlano, altrimenti dovrebbero condannare le atrocità commesse dai terroristi

A ondate giungono i rapporti sempre più dettagliati sugli errori, le inefficienze, i ritardi del dispositivo militare e dell’Intelligence di Israele in occasione degli attacchi del 7 ottobre del 2023. Quel giorno, alcune migliaia tra miliziani e civili palestinesi invadevano lo Stato ebraico rendendosi responsabili, nel giro di poche ore, dell’eccidio di 1.200 persone e della deportazione di altre 250. La conclusione secondo cui l’esercito non era riuscito a difendere né i propri soldati, numericamente insufficienti a presidiare le zone sottoposte all’attacco, né i civili, era acquisita da tempo. Ma le indagini successive, che ora rimpolpano un dossier molto articolato e puntiglioso, elencano in modo impietoso i diversi profili difettosi degli apparati di Difesa che hanno reso tanto più devastante l’aggressione.
Si tratta, per un verso, della sottovalutazione o proprio dell’accantonamento di una pluralità di segnali e di un incrocio di indizi che, nei giorni e nelle ore precedenti l’attacco, avrebbero reso chiaro che qualcosa non filava per il verso giusto nei movimenti di Hamas. Per altro verso, si tratta del riposo israeliano sulla convinzione, rivelatasi infondata, che Hamas, pur essendo nella possibilità di attaccare, non l’avrebbe fatto, o almeno non con un’operazione di quella portata. Si tratta, infine, della sprovvedutezza di una linea di comando incapace non solo di prevedere e prevenire l’aggressione, ma anche di comprenderne le proporzioni e di contrastarla nel modo dovuto quando essa era in corso. Da quel che risulta (è solo l’esempio più tragicamente significativo) le forze di Difesa sono arrivate nel kibbutz Nir Oz solo a cose fatte, e cioè quando ormai i predoni palestinesi avevano compiuto il loro lavoro.
Vale la pena di ricordare cosa successe, in quel posto: vi furono assassinate 46 persone (33 uomini e 13 donne) e 72 furono rapite (37 uomini e 35 donne). In quell’occasione, nel corso dei rapimenti, furono assassinate una donna di 79 anni e la sua nipote, una bambina autistica di 12 anni, perché rallentavano la ritirata dei rapitori verso Gaza. Due anziani, una donna di 70 anni e il marito di 73, erano sorpresi in prossimità del kibbutz: la donna era assassinata; il marito, preso in ostaggio, era ucciso poi a Gaza. Una famiglia di 5 persone – madre, padre e tre bambini – era nascosta nella “safe room”: sfondata la porta, i terroristi uccidevano i genitori e davano fuoco alla casa; i tre bambini morivano soffocati. La nonna era uccisa in un’altra “safe room” del kibbutz. Sempre da lì era prelevata un’intera famiglia: i genitori e due bambini, uno di 4 anni e uno di 9 mesi, erano rapiti; i due nonni erano assassinati e i loro corpi ritrovati al confine di Gaza. Letteralmente, un macello. Magari non tutti, ma tanti potevano probabilmente essere salvati se la reazione delle forze di Difesa israeliane non si fosse rivelata così tragicamente intempestiva, lì come altrove, anzi ovunque.
Occorre tuttavia giudicare con la dovuta esattezza e senza fuorvianti approssimazioni una simile disfatta, che non è una semplice défaillance perché non è stata momentanea (per ore e ore i miliziani e i civili palestinesi che operavano con loro hanno agito in modo indisturbato). Chi fosse interessato a verificare come la stampa e l’opinione pubblica, diciamo così, non amiche di Israele stanno trattando queste notizie, cioè il disastro di cui hanno dato prova i responsabili dei Servizi e dell’esercito di Israele, registrerebbe una curiosa assenza di interesse. È perlopiù in Israele, assai meno altrove, che quel rapporto sulle mancanze israeliane sta facendo strepito e causando risentimento. E si spiega.
Pronte anziché impreparate, infatti, presenti in quantità anziché sparute, le forze di Difesa israeliane avrebbero molto semplicemente ucciso o comunque neutralizzato quelle migliaia di aggressori. Ma dire che Israele ha dato cattiva prova di sé nel difendersi dall’attacco del 7 ottobre implica riconoscere che gli aggressori si sono resi responsabili in modo anche più odioso di quelle atrocità. Ecco perché lo Stato ebraico incolpa sé stesso, ma non sarà incolpato, per essersi lasciato sventrare: perché incolparlo significherebbe accusarlo di non aver ucciso i 5mila palestinesi che quella mattina lo hanno invaso. Ed è un’accusa che non può venire da chi, più o meno vagamente, celebra o giustifica i tratti “resistenziali” del 7 ottobre.
© Riproduzione riservata