Le persone sono centrali
Stato, imprese, lavoratori, sindacati: il patto strategico per la formazione
Il Fondo Nuove Competenze, istituito nel 2020, offre alle aziende un’opportunità unica. Ma ora l’iniziativa si può ancora migliorare: riqualificare le persone per le sfide dell’IA

Chi pensa che nell’era dell’IA il focus delle aziende sia solo sulla tecnologia, si sbaglia di grosso. Mai come oggi le persone sono centrali. La frase “siamo tutti necessari, ma nessuno è indispensabile”, mantra di molti capi davanti a dimissioni, oggi rischia di suscitare un sorriso ironico. La denatalità e l’innovazione tecnologica hanno reso i talenti una risorsa scarsa. L’unico modo per attrarre, trattenere e valorizzare le persone è investire in competenze e motivazione. La formazione resta lo strumento chiave.
Che piaccia o meno, nei prossimi anni dovremo metterci tutti a studiare. Ma studiare costa, e qui iniziano i problemi. Le aziende devono sostenere due tipi di spesa: i costi diretti (docenti, tutor, piattaforme, materiali) e il costo indiretto delle ore in cui il dipendente è in aula e non produce. In Italia il primo costo è spesso coperto dai Fondi Interprofessionali, esempi virtuosi di bilateralità tra aziende e sindacati. Ad esempio, Fondimpresa (costituito da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil) raccoglie lo 0,30% delle retribuzioni di oltre 5 milioni di lavoratori iscritti, finanziando milioni di ore di formazione ogni anno. Ma il costo del tempo impiegato per studiare rimane un problema. Se una giornata di formazione di 8 ore costa circa 1.500 euro per l’erogazione, la partecipazione di 25 dipendenti con un costo aziendale medio di 30 euro l’ora aggiunge altri 6.000 euro.
Per promuovere upskilling e reskilling, è nato il Fondo Nuove Competenze, per gli amici FNC. Istituito nel 2020 per affrontare l’emergenza Covid-19, FNC consente alle aziende di ridurre temporaneamente l’orario di lavoro per dedicare tempo alla formazione, mentre lo Stato copre il costo delle ore non lavorate. Un patto tra Stato, imprese e lavoratori – mediato dai sindacati – che ha visto un investimento di circa 2 miliardi di euro, di cui 731 milioni solo nel 2025. Il 10 febbraio si aprirà la “finestra” per presentare le domande, potenzialmente coinvolgendo oltre 300.000 lavoratori.
FNC è un bene per il paese, per i lavoratori e per le aziende. Ecco alcuni spunti per migliorarlo nella prossima edizione. Rendere FNC strutturale: la misura dovrebbe essere ricorrente e calendarizzata, permettendo alle aziende di pianificare la riqualificazione. Tornare a guardare la qualità. Oggi i progetti vengono finanziati in base all’ordine di arrivo, rendendoli un po’ troppo simili a un “ammortizzatore sociale”. Ripristinare un criterio di qualità, affiancato da una premialità per i settori più colpiti da crisi, sarebbe una scelta giusta. Dare più spazio ai Fondi Interprofessionali: è stato un errore non inserirli stabilmente nella gestione delle risorse del Pnrr, e ancora più grave tagliare risorse. Ampliarne la mission (es. welfare) e il ruolo di supporto sarebbe strategico. Snellire la burocrazia: la gestione dei progetti formativi potrebbe essere più agile, consentendo la sostituzione dei partecipanti ai corsi per adattarsi alle mutevoli esigenze aziendali.
Altri spunti? Lasciare più libertà alle aziende: chi finanzia la formazione impone i temi con un approccio un po’ paternalista (sono lo Stato e so quello che serve alle aziende). Peccato, perché nessuno meglio delle imprese e dei lavoratori sa quali competenze servano davvero. Migliorare la qualità della formazione. La reputation degli enti formativi è migliorata, però resta un tema: si può offrire il medico gratis, ma se non è competente il paziente rischia grosso. Anche la formazione ha bisogno di aggiornare i suoi professionisti. Aumentare le risorse: FNC è preventivo rispetto alla cassa integrazione. Le competenze sono un fattore di protezione dalla disoccupazione. Meglio investire oggi un euro in più in formazione che domani 100 in cassa integrazione.
Infine, una suggestione: FNC prevede una rimodulazione dell’orario di lavoro a parità di salario. Potrebbe essere questa la formula, in futuro, per contenere gli esuberi derivanti dall’IA? In bocca al lupo ai 300.000 italiani che – grazie a questa misura – torneranno a studiare, per affrontare con più fiducia e sicurezza le sfide che ci attendono nei prossimi anni.
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