Conte perde 6 milioni di voti e dice a Letta cosa deve fare…

Non erano ancora chiuse le urne che i fan giallorossi del Pd stavano già intonando il solito canto dell’alleanza con i 5 Stelle. Il contrario non si è mai dato. I contiani, anche nei momenti più bui, soprattutto nei momenti più bui, non parlano dell’alleanza con il Pd. Pensano per sé e questa è la loro forza. Il contrario non è dato. Almeno per alcuni leader che nonostante le smentite che arrivano dai fatti pensano che l’unica soluzione per rilanciare i dem sia quella di consegnarsi armi e bagagli a un’altra forza politica, la stessa che negli anni si è pasciuta succhiando il sangue del nemico democrat.

È così oggi un partito che ha perso sei milioni di voti e rotti, cioè il 60 per cento in meno rispetto al 2018, si mette a dare lezioni a un partito che ha perso solo il 13 per cento e che ha preso il 19 per cento di voti contro il 15 dei grillini. Ma i numeri non servono a bloccare questa sorta di istinto masochista. Basta leggere l’intervista di ieri al Fatto quotidiano di Goffredo Bettini. È stato il grande ideatore del “campo largo” che davanti allo sgambetto di Conte al governo Draghi si era un po’ placato ma che ora torna alla carica come se niente fosse successo: «Conte – dice Bettini – ha sbagliato a non dare la fiducia a Draghi in quel frangente. Tuttavia, aveva accumulato un contenzioso grandissimo, al quale il premier non ha dato risposte sufficienti. Aveva subìto anche le scissioni di Di Maio e di altri suoi dirigenti, accolte con simpatia da molti settori della stessa maggioranza cui dava sostegno. Era stato insultato, sbeffeggiato e incredibilmente sottovalutato. Anche il sottoscritto ha pagato per mantenere con lui il filo del dialogo. Quindi, probabilmente sì, siamo stati precipitosi nell’escludere ogni possibile ricucitura. Anche per una ragione “pratica”: senza il M5S, come si è visto ora, non resta alcuna altra prospettiva politica. Se non l’isolamento, che è stato determinante in senso negativo nella battaglia dei collegi uninominali».

Ma non è solo una questione di voti, per Bettini si tratta di un’alleanza sostanziale: «Il Pd è principalmente il partito dei ceti medi urbani, civili e progressisti. Conte è più penetrante nel popolo, tra i diseredati. Il rapporto unitario è arricchente per entrambi. Ora occorre ricucire il campo largo per evitare che la destra debordi, per difendere la Costituzione, per non snaturare la Repubblica. E per ricostruire, con umiltà, le condizioni di una nostra rivincita». Il consigliere che parla ai grillini non è solo. In diversi suggeriscono questa strada, da Boccia a Orlando sono tanti i dirigenti che non si sentono mai responsabili se le elezioni vanno male, ma continuano a indicare un’unica sponda per la salvezza: abdicare e conferire la corona all’avversario regalandogli il proprio trono. Altro che House of Dragon dove si combatte senza risparmiarsi per difendere il proprio casato e se il matrimonio si combina è con l’intento di usarlo per accrescere il proprio potere. C’è una parte del Pd che invece non vede l’ora di cedere il proprio stemma e i propri voti all’avversario. Gratis.

La strada scelta è sbagliata in partenza. Perché un partito ancora prima di pensare alle alleanze dovrebbe pensare a chi è, a cosa fare, a quali sono stati i propri errori. È dai tempi del Pci che questa storia delle alleanze ha fatto male alla sinistra. Invece di pensare al sodalizio con Conte perché i dem non discutono di quale debba essere il loro profilo, di quale scommessa vogliono proporre agli italiani, di quale debba essere il loro Dna? Poi si possono alleare anche con il diavolo ma non prima di aver chiarito quale sia la nuova strada che vogliono intraprendere. Pensare di consegnarsi al Movimento Cinque stelle è folle per diverse ragioni. Il partito di Conte è e resta profondamente populista. Il reddito di cittadinanza è stata una loro meritevole iniziativa che va difesa e ampliata ma le parole del capopopolo l’hanno sempre inquadrata in un contesto non di diritti ma di “regalo” concesso al popolo. Quel “gratuitamente” ripetuto in maniera ossessiva durante la campagna elettorale.

Un’altra ragione che porta a non scommettere su una nuova alleanza giallorossa è chiedersi quale sarà in futuro la forza del partito grillino che in queste elezioni ha perso la metà dei voti, senza che questi siano andati a chi ha fatto la scissione, cioè a Di Maio, ma o a Giorgia Meloni o all’astensione. Lo ha spiegato bene ieri sul Riformista il professore della Luiss, Sergio Fabbrini: «Credo che queste elezioni testimonino il mondo fluttuante della politica italiana. Chi può seriamente pensare che chi nel 2018 aveva raggiunto a mala pena il 4% in quattro anni e mezzo sia diventato – mi riferisco a Fratelli d’Italia – un partito egemone, stabile, consolidato al 26%. È evidente che non avrebbe senso pensare una cosa del genere». È quella transizione – continua Fabbrini – che ha portato «Renzi, nel 2014, al 40%, i 5 stelle al 30%, nel 2018, la Lega anch’essa più del 30%, nel 2019. Oggi Salvini che fino a ieri sembrava padrone della politica italiana è un leader con una posizione a forte rischio, così come Renzi che fa fatica a riemergere.  Lo stesso si può dire per il Movimento 5 stelle. Siamo di fronte a una situazione molto fluttuante».

Situazione che però sembrerebbe non toccare il Pd, che ha invece uno zoccolo duro che nonostante la crisi e la scissione renziana resiste. Ed è uno zoccolo che vorrebbe un partito diverso e continua a votare nella speranza di un salto di qualità, ma che sembra non “fluttuare” come invece accade agli altri partiti che offrono spesso soluzioni populiste. Ci sarebbero tutte le ragioni per puntare sul congresso di marzo giocando in autonomia.  Su temi, proposte, profilo, idea di mondo. Se manca qualcosa è proprio una idea di società che sia ben definita e ben proposta ai cittadini e alle cittadine.

E se alla fine di questo percorso proprio non si può fare a meno di costruire l’alleanza con i 5 stelle, va bene. Ma prima perché non scommettere sulla propria forza? Su una cosa si dovrebbe prendere esempio da Conte: ha perso oltre 6 milioni di voti e ha gridato vittoria. Tutti ci hanno creduto. Invece di auto-infliggersi punizioni non richieste, invece di sparare su un capo ogni volta diverso, invece di agire la logica del capro espiatorio per lasciare tutto intatto, si può pensare di lavorare seriamente per un nuovo Pd, per una nuova grande sinistra?